La colpa è sempre degli altri. La sindrome grillina di Ventura
L'ex ct della Nazionale esordisce sulla panchina del Chievo e incassa cinque gol dell'Atalanta. A fine gara, come ha sempre fatto, gioca con le dichiarazioni
Facile dire: non sparate sul pianista. Ma erano tutti lì, tutti ad attendere Giampiero Ventura alla ripartenza, dopo aver firmato il più grande fallimento del calcio italiano da sessanta anni in qua, ovvero la mancata qualificazione della Nazionale al Mondiale 2018. E il nuovo inizio è stato terrificante, con l'1-5 incassato in casa con il Chievo, che ha dato fiducia al settantenne allenatore per cercare di tirarsi fuori da una situazione già disperata. Di fronte c'era l'Atalanta, non una big. Neppure l'Atalanta brillante delle due passate stagioni, ma una squadra che non vinceva dal 20 agosto e che in classifica frequenta la zone basse. Eppure non ha avuto alcun problema a ridicolizzare un'avversaria che, già non fenomenale di suo, è parsa ancora più passiva del solito, nonostante il grande debuttante in panchina.
E Ventura ha risposto subito, secondo abitudine. Ovvero giocando con le dichiarazioni, soluzione adottata per giustificare i passaggi a vuoto in carriera. Parole in libertà, come quelle che ascoltiamo tutti i giorni in bocca a qualche esponente del governo gialloverde: noi, a torto, ci ridiamo spesso sopra. Loro, invece, si prendono tremendamente sul serio, come seri sono i rischi che fanno correre al Paese. Allo stesso modo Ventura, uno che ha sempre avuto bisogno di trovare qualcuno da accusare di remargli contro. In epoca granata erano i giornalisti cattivi. In Nazionale è addirittura arrivato a parlare di “delitto premeditato”, dopo essere stato eliminato quasi un anno fa agli spareggi da una Svezia contro cui l'Italia non è riuscita a fare un gol in 180 minuti. Una squadra che si era progressivamente sgonfiata, dopo essere stata presa a ceffoni a Madrid e dopo aver infilato una serie di prestazioni pessime con avversarie quali Israele, Macedonia e Albania. La pochezza tecnica e, soprattutto, tattica emersa in due partite contro gli svedesi era stata la logica conseguenza di una conduzione incerta. Quella di un allenatore che, fino alla chiamata sulla panchina azzurra, aveva sulle spalle 14 partite di ambito internazionale in 36 anni di carriera.
In realtà il progetto del presidente Carlo Tavecchio, al momento di sostituire Antonio Conte, era stato quello di piazzare Marcello Lippi come direttore tecnico al fianco di Ventura: un perfetto parafulmine, in caso di critiche. Un progetto nato e abortito in pochi giorni, per il regolamento che impedisce di coprire incarichi federali se si hanno parenti che operano come procuratori sportivi, come è Davide, figlio di Marcello. Così Ventura si è trovato a gestire da solo un ruolo molto più grande di lui. Lo ha fatto cercando di giocare con le parole, per l'appunto, ma ottenendo soltanto l'effetto di alienare le residue simpatie al suo attivo, intervista dopo intervista. Incapace, persino, di pronunciare la parola dimissioni dopo la notte di San Siro, quelle dimissioni che Cesare Prandelli diede immediatamente un minuto successivo all'eliminazione dal Mondiale brasiliano.
Dopo quello choc, per mesi Ventura non ha più parlato. Fino a quando non si è presentato nel comodo salotto di Fabio Fazio, per giustificare quanto da lui fatto. Il fallimento? Certo, “ma nel calcio non c'è una sola persona che perde”. Le dimissioni? Va bene, “ma eravamo alla prima sconfitta dopo numeri importanti”. Le scelte tecniche sbagliate? Vero, “ma in quel contesto di delegittimazione erano tutte sbagliate, ed era normale”. Esattamente quanto ascoltiamo oggi quando un ministro - spesso grillino - prova a deviare le accuse se commette errori da dilettante in ciò che è di sua competenza. Basta essere onesti. E dopo averne prese cinque al debutto, Ventura non si è smentito: “Ho sbagliato a partire dal gioco, dobbiamo recuperare rabbia e ferocia che sono caratteristiche del Chievo. Per farlo servono le condizioni fisiche, oggi alcuni giocatori erano già arrivati dopo mezz'ora”. La colpa è degli altri, come sempre.