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Non bastano più tre dita a Mourinho per essere Special

Jack O'Malley

La crisi del Manchester United, la minaccia del nuovo presidente dell'Inter e il silenzio di certi stadi inglesi

È una settimana che si parla delle tre dita di Mourinho, non posso esimermi dal farlo anche io, ancora sotto choc per l’imbarazzante prova del suo Manchester United contro la Juventus, in una partita in cui i Red Devils sembravano il Chievo e non una delle squadre più vincenti dell’ultimo trentennio. Mi sono ridotto a sperare in Pep Guardiola per la Champions (il Tottenham è più spacciato di un bombolone alla crema quando al bar entra Ronaldo – non Cristiano, l’altro – e il Liverpool con Klopp in panchina può ambire al massimo a un altro secondo posto). Il ministro per la Prevenzione dei suicidi voluto da Theresa May dovrà monitorare soprattutto l’Old Trafford nei prossimi mesi, visto l’andamento della squadra che fu di Sir Alex Ferguson. Per ora certamente ha il suo bel da fare il sottosegretario alla Solitudine: Mourinho ormai si aggira per il centro della città facendo il numero 3 con le dita a chiunque gli dica qualcosa. Tutto bello, comunicativo, istrionico e iconico, ma provate a mettervi nei panni di un tifoso dello United, che già soffre nel vedere i “vicini rumorosi” del City vincere e giocare bene. Ma cosa gliene può fregare a lui che ai tifosi del Chelsea lo Special One ricordi che con i Blues ha vinto tre Premier League? O che faccia il bullo con quelli della Juventus facendo il gesto del triplete vinto con l’Inter otto anni fa? Sembra quel mio amico che quando viene a cena da me beve solo un bicchiere di vino, e al mio sguardo sdegnato risponde che però la settimana prima a casa di un altro si è sbronzato. Quanto durerà la pazienza dei tifosi a Manchester, nonostante tutte le ragioni di scontro con la società che Mou può avere? Non c’è sempre un Newcastle dietro l’angolo pronto a regalare l’illusione di rimonte old style che mettono cuore, occhi e anima in pace per un po’.

 

Ho visto venerdì sui social network il video di presentazione del nuovo presidente dell’Inter, un giovane cinese che si tradisce subito: “Quando chiudo gli occhi vedo una città incredibilmente ricca di storia e molto ancora da scrivere. Persone con idee, con la voglia di migliorare quello che li circonda e loro stessi”, dice il ventiseienne Steven Zhang mentre si aggira con fare da immobiliarista tra i grattacieli milanesi con il simbolo dello yuan negli occhi. Ma è la minaccia finale di un video in cui non c’è nemmeno un fotogramma calcistico, un gol di Icardi o un’immagine della curva a rendere tutto più inquietante: “Io sono pronto, e voi?”.

 

A proposito di curva, devo con mestizia dare ragione ad Alexandre Lacazette. L’attaccante francese dell’Arsenal qualche settimana fa ha detto che gli manca il calore dei tifosi della Ligue 1. Lo so che gli ho dato dell’ubriaco appena una settimana fa, ma l’orrendo vuoto sonoro dell’Old Trafford martedì sera ancora mi scava dentro. È il destino del calcio in tutto il mondo, purtroppo, quello di cambiare i tifosi in spettatori, gli stadi in teatri e i giocatori in attori. Spero di essere morto quando questa trasformazione sarà completata. Certo avere allenatori che fanno attaccare le proprie squadre e non le fanno assistere inermi allo stupro perpetrato dagli avversari (siamo pronti per il #moutoo) aiuterebbe a rallentare il declino.

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