Juric, ignoto ci è il finale
Preziosi lo guarda, lo ama, lo odia, lo ama ancora e domani chissà. Il derby come una sfida sulla scena con la chitarra elettrica e l’adrenalina tra le mani
Imprevedibile. Può godere e soffrire con la stessa faccia. Difendersi con una preghiera, sventolando una bandiera, oppure gridare come un esorcista contro il diavolo. Ivan Juric è l’uomo che in silenzio assiste al funerale o al matrimonio, poi, all’improvviso, si dà alla chiacchiera come un protagonista di un romanzo russo, dove la chiacchiera è così lontana che sembra un dialogo tra muti. Cupo come una rullata di timpano, andante allegro come una sonata di violino, malinconia infusa nell’anima. Giocava a calcio con un buon sinistro e correva al centro per catturare il pallone. Oggi si trova sulla fascia, allenatore precario, costretto al bilico da un capo incerto e a tratti anche spietato. Se perde il derby, la partita per eccellenza a Genova, dovrà tornare a casa anche se è difficile immaginare una sua casa senza un tetto di colore rosso e blu. E’ nato a Spalato, il padre era un professore universitario, un giornalista battagliero contro le oppressioni. Anni Settanta, maresciallo Tito. E battagliero è lui, il figlio. Calciatore invasore e mediano difensore nella filosofia d’assalto di Gasperini, il suo mentore. Allenatore di trama di corsa, prima a Mantova e poi Crotone, dove porta la squadra in serie A – impresa già dimenticata – e fa segnare tutti, in nome della rosa, verrebbe da dire (ecco come si spiega l’odierno Piatek meno protagonista). A Genova diventa presto un idolo della gente ma s’inceppa. Fa bene, poi improvvisamente male, di nuovo migliora e ancora cade. Preziosi lo guarda, lo ama, lo odia, lo ama ancora e domani chissà. Il derby come una sfida sulla scena con la chitarra elettrica e l’adrenalina tra le mani, che sfidano le corde di una chitarra che sprizza scintille. Un assolo di Angus Young, ma più probabilmente un passaggio psichedelico di Jimi Hendrix che magari non è considerato (a torto) abbastanza heavy da Ivan il metallaro. Perché Juric ama il rock pesante, la voce di sabbia, il clima incandescente, il fuoco che arde sul palco. E lui che sale e scende, come se fosse un maledetto alla Black Sabbath, inventore di un satanismo panchinaro dovuto più all’immagine che alla sostanza. In quanto Juric ti può guardare e suscitare tenerezza o spavento, dipende dal momento. Mentre il suo calcio tende all’ignoto, difficile sapere dove ci porterà. Il derby darà qualche risposta, di sicuro non definitiva. Si gioca nella città compressa tra le montagne e il mare, una costante discesa che si blocca. Alle spalle il ponte spezzato è ancora lì, delitto senza volto. Se passi da Genova e lo guardi ti viene da piangere. E’ la metafora del nulla all’improvviso, del vuoto inesplicabile della vita.
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