Tifosi della Pallacanestro Cantù (foto LaPresse)

Salviamo Cantù e la storia del basket italiano

Giovanni Francesio

La società potrebbe sparire e non finire il campionato. Tutta la città vive la vicenda sulla propria pelle, con passione e partecipazione. E c'è anche chi chiede di poter continuare a odiare

C’è una battaglia vera, importante, che si sta combattendo nello sport italiano in questi giorni. La Pallacanestro Cantù potrebbe sparire, senza finire il campionato. Stiamo parlando di una società che ha fatto la storia del basket italiano, la squadra italiana con il maggior numero di titoli europei, seconda solo al Real Madrid a livello europeo. Tra le decine di nomi indimenticabili che hanno vestito quella maglia, bastano e avanzano quelli di Marzorati e Recalcati. Un’eccellenza assoluta dello sport italiano, Cantù, e una storia ai limiti del magico, considerando il “bacino d’utenza”, ma che sta vivendo momenti drammatici. Il proprietario, il russo Gerasimenko, è finito nei guai con il suo governo e ha messo in vendita la società a costo zero. Per il momento, però, altri acquirenti non si trovano e c’è il rischio serio di non riuscire ad arrivare a fine stagione.

 

Lo sport globalizzato non è un pranzo di gala, e ogni tanto capitano queste cose. Cose che toccano i nervi del senso di appartenenza dei tifosi e a volte, come nel caso di Cantù, di un’intera comunità che ha trovato ormai da decenni nel basket un fantastico collante sociale. Lunedì scorso maggioranza e opposizione del consiglio comunale di Cantù sono andate insieme al PalaDesio per vedere la partita – persa – contro Pesaro. Tutta la città vive la vicenda sulla propria pelle, con passione e partecipazione.

 

Ma c’è di più. C’è anche chi chiede di poter continuare a odiare. Quella tra Varese e Cantù è, se non la più accesa in assoluto, una delle più accese rivalità tra tifoserie di basket in Italia, fatta di derby feroci, scontri sugli spalti e fuori, insulti sanguinosi, gestacci di allenatori e giocatori, ed è per questo che proprio da Varese arriva l’appello più accorato: ci vuole un milione, per finire la stagione, cerchiamolo tutti e, se serve, Cantù e i rispettivi avversari potrebbero schierare le giovanili. Tutto pur di salvare la storia dello sport che amiamo e la dignità del nostro nemico. Perché in una delle capitali del basket europeo, anche se piccola, non può arrivare un russo qualsiasi a cancellare decenni di vita e passione. E poi perché chi siamo noi, senza il nostro “miglior peggior nemico”?

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