La mossa del gambero di Godín
Il difensore dell'Atletico Madrid ha iniziato come attaccante, sognava di fare il centrocampista, ma è in difesa che è diventato un mito per i Colchoneros. Ora è entrato nei piani di mercato del Milan
Nessuno gli aveva ancora insegnato a nuotare quando a quattro anni cadde in un torrente ai bordi del quale stava cercando di pescare. Era con la sorella sulla riva, si sporse troppo in avanti e scivolò nell'acqua. Lucía in preda al panico lasciò il fratello e iniziò a cercare i genitori. Quando tornò con il padre che si stava già spogliando del giubbotto invernale per tuffarsi nel torrente, videro il ragazzino che si stava arrampicando sulla riva opposta, fradicio ma salvo. Gli chiesero come avesse fatto a salvarsi, rispose che aveva imitato il gambero dei cartoni.
Diego Godín ha sempre fatto il gambero nella vita. A scuola, quando i bulli avevano provato per la prima volta a menarlo iniziò a indietreggiare piano piano cercando di tenere d'occhio la situazione, poi al primo momento di distrazione degli altri ragazzi avanzò, stese il più grosso con un pugno sul naso e fece scappare gli altri. Nessuno provò più a molestarlo.
E pure nel campo da gioco ha fatto lo stesso.
Da piccolo lo misero in attacco perché aveva buoni piedi, era alto e aveva un tiro potente. Segnava, ma non abbastanza per essere contento. Voleva giocare al pallone, toccare la palla il più possibile, ma non per dribblare tutti, solo per essere al centro del gioco. A dodici anni lo spostarono sulla trequarti. Continuò a fare quello che aveva sempre fatto: passare il pallone ogni volta che lo aveva tra i piedi. Averne di giocatori altruisti, dicevano al Defensor Sporting. Ma così altruista forse era troppo. Perché da uno che ha il numero 10 sulle spalle ci si attende sempre qualcosa: un guizzo, un dribbling, una giocata, cose così. Lui invece a tutto ciò preferiva la concretezza, l'impegno, la solidità, tanto il piede l'aveva buono e il pallone andava sempre dove voleva. Al suo club però non bastava e così gli dissero che per lui non c'era più posto, gli spiegarono che da un diciassettenne si attendevano di più. Così Diego Godín prese le sue cose e lasciò Montevideo per tornare a Rosario con la promessa che col calcio aveva chiuso.
Ma le promesse di un ragazzo sono sempre vacillanti e così quando la squadra primavera Club Atlético Cerro gli propose di dar prova del suo talento durante la preparazione estiva lui accettò. Lo misero prima sulla fascia e fu un buco nell'acqua, poi a centrocampo e l'allenatore ne fu soddisfatto. Lo tesserarono. Ma il centrocampista lo fece poco Godín, ben presto uno dopo l'altro i difensori centrali si fecero male e toccò a lui, l'ultimo arrivato, coprire il buco. E mentre il ragazzo diceva "non sono un difensore, sono un centrocampista", tutti gli altri vedevano in lui qualcosa che non avevano mai visto: una capacità naturale di fare quello che doveva senza errori. In poco tempo l'allenatore della prima squadra, Gerardo Pelusso, lo volle con sé per lanciarlo nella mischia della prima divisione uruguaiana.
Il suo arretramento si era concluso, iniziò la sua scalata. Perché in due stagioni Godín passò dalla panchina alla fascia di capitano, prima di andarsene al Nacional, prendere la direzione della Spagna, Villareal, traslocare all'Atletico Madrid e diventare fondamentale per Diego Pablo Simeone e per la nazionale uruguaiana.
D'altra parte "Diego si fa sempre trovare pronto, su ogni pallone, in ogni azione e in ogni partita. È difficile ridurre un giocatore a una sola qualità, ma direi che la migliore di Godín è la forza mentale. Accetta qualsiasi sfida e ne esce vincitore. Rappresenta il meglio dell'Uruguay", ha detto di lui Óscar Tabárez, ct della Celeste.
D'altra parte "niente mi entusiasma meno che giocare contro l'Atlético. È una squadra ostica e Godín dà sempre problemi: è sempre a fianco a me, non mi lascia mai solo", ha detto di lui l'attaccante del Barcellona Luis Suárez.
D'altra parte "non ho mai fatto tanta fatica a giocare, a superare un difensore come quando mi sono ritrovato davanti a Godín", ha detto di lui Cristiano Ronaldo due anni fa.
D'altra parte in Spagna non c'è difensore che abbia così tanti cori dedicati come lui. Per i tifosi dell'Atletico Madrid non è solo il capitano, è un anatema contro gli avversari. Con lui in campo i Colchoneros hanno conquistato una Liga e due Europa League, hanno raggiunto due finali di Champions, sono stati tre volte in quattro anni la difesa meno battuta del campionato e non ha subito gol nelle ultime otto gare casalinghe a eliminazione diretta della massima competizione europea per club. Per questo Simeone ha recentemente dichiarato: "Non lo lascerei mai andar via. È migliorato molto sotto tutti gli aspetti: come giocatore, come leader e come persona. Lo apprezzo moltissimo". E uno dei capi ultras della curva rojiblancos ha detto: "Vendere Godín? Sarebbe un suicidio".
Ma tra gli attestati di stima e i conti societari (non solo economici) a Madrid c'è uno scollamento e ancora l'offerta per un rinnovo non c'è stata. Dalla dirigenza dicono che è solo una questione di tempo, ma la richiesta di minuti di Stefan Savić e la crescita di José Giménez stanno facendo titubare le alte sfere biancorosse. E Godín, arrivato a 32 anni e oltre 350 partite con l'Atletico, vorrebbe mettersi alla prova altrove. In questo stallo di indecisione societaria e curiosità uruguaiana stanno cercando di trovare un varco Leonardo e Paolo Maldini, gli uomini mercato del Milan.