Bari e la lunga strada verso il sogno della serie A
Dal fallimento alla rinascita: così i pugliesi vogliono seguire l'esempio del Parma
Parma insegna: da una caduta rovinosa si può ripartire, basta gestirsi bene. In Emilia hanno fatto in fretta a rialzarsi, dopo essere stati cancellati dal calcio professionistico a causa del crac Ghirardi. Dalla serie D alla A in tre anni, sull'onda di tre promozioni consecutive. Lo stesso obiettivo che si è posto il Bari, franato in una categoria che non conosceva da quasi sessant'anni. Anche all'origine di questa caduta c'è un dissesto finanziario, il male che affligge il calcio italiano. Diciassette milioni di debiti, corredati da 46 decreti ingiuntivi, hanno appesantito il Bari in estate. Una situazione insostenibile per il proprietario Cosmo Giancaspro e che ha fissato il secondo fallimento nel giro di soli quattro anni.
In città avevano vissuto la stessa situazione quando avevano alzato bandiera bianca i Matarrese, quelli che avevano portato Antonio prima alla presidenza della Lega Calcio e poi a quella della Federcalcio (era il numero uno quando non riuscimmo a vincere il Mondiale del 1990, organizzato in casa). Chiamato a cose più importanti, aveva lasciato il club a Vincenzo, uno dei quattro fratelli di una famiglia leader nelle costruzioni. La più famosa? La struttura di Punta Perotti, mai finita perché entrata nella categoria degli ecomostri e abbattuta nel 2006. Con Vincenzo presidente il Bari conquista l'ultima promozione in serie A nel 2009 con Antonio Conte, cui sarebbe subentrato Gian Piero Ventura per una staffetta meno traumatizzante di quella vista con l'Italia. E con Vincenzo presidente il Bari avrebbe conosciuto gli ultimi momenti di serenità societaria, fino all'autofallimento del 2014, che almeno garantiva la possibilità di mantenere la serie B.
Sono anni in cui si assiste a balletti di pretendenti infiniti e, soprattutto, assurdi, prima e dopo il fallimento. Nella galleria entrano personaggi come il texano Tim Barton o i fratelli russi Boris e Arkady Rotenberg, si vedranno anche dei malesi perfino. Alla fine spunta un barese come Gianluca Paparesta, una vita nel calcio da arbitro e, a sua volta, figlio di un arbitro (Romeo). Uno che attraversa Calciopoli per quella che Luciano Moggi vendeva come realtà in un'intercettazione con una donna e che Paparesta junior, ancora oggi, deve continuare a smentire come leggenda metropolitana: essere stato chiuso a chiave nello spogliatoio dello stadio dall'allora direttore generale bianconero dopo una sconfitta della Juventus a Reggio Calabria nel 2004. L'ex arbitro trova in qualche modo i fondi per andare avanti, ma si tratta di una gestione faticosa, sempre alla ricerca di un socio che dia una mano. Un socio che, alla fine, si materializza in Giancaspro, che nel 2016 diventa proprietario unico. E abbiamo visto come sia finita.
Il fallimento consegna il club nelle mani del sindaco, perché individui un compratore. Quello di Bari è Antonio Decaro, che nel 2009 ha preso il posto di Michele Emiliano con una maggioranza anomala in cui, intorno al Partito democratico, ci sono - tra gli altri - Sel e Italia dei Valori. Anomala perché Decaro è un renziano che, per di più, quando ha il Bari tra le mani si comporta da ministro pentastellato. Sceglie il nuovo proprietario dopo un'analisi costi-benefici, schema che va sempre fortissimo tra i grillini. La differenza è che quella di Decaro funziona, perché il Bari il 31 luglio finisce nella mani di Aurelio De Laurentiis, uno che aveva già preso a costo zero un Napoli fallito nel 2004 e che in Puglia intravede un nuovo business con la possibilità, in più, di arrivare all'agognata gestione diretta di uno stadio, negatagli per il San Paolo dalla giunta del sindaco Luigi De Magistris.
Messo il figlio Luigi sulla poltrona della presidenza, Aurelio De Laurentiis si è visto consegnare l'impianto barese il 21 settembre, con la possibilità di andare oltre il 31 dicembre, primo step fissato dall'amministrazione comunale. Il San Nicola è l'unico sopravvissuto tra i nuovi impianti del Mondiale 1990 (l'altro era il Delle Alpi a Torino, abbattuto e riedificato per costruire lo Stadium juventino). Uno stadio progettato da Renzo Piano e rivelatosi subito inadeguato, a cominciare dalla presenza di una inutile pista di atletica, retaggio delle antiche gestioni Coni, per passare a spalti da dove si vede male e dove spesso piove, nonostante la copertura. Ma uno stadio dove la passione non è mai venuta meno. Negli ultimi cinque anni, in cui la proprietà era claudicante, la squadra ha raggiunto tre volte i playoff della serie B, con 51.000 spettatori l'8 giugno 2014 con il Latina. Oggi la media della presenze, supportata da 7.680 abbonati, parla di 10.600 persone al San Nicola. Un dato straordinario in D: basti pensare che in serie B soltanto il Benevento richiama più appassionati (11.300). E il Bari è perfino da solo nel girone I, in mezzo a squadre campane, calabresi e siciliane, più una presenza della Basilicata. Una scelta fatta per evitare i derby e salvaguardare l'ordine pubblico (nel girone H le pugliesi, capitanate dal Taranto, sono otto), ma che ha di certo azzoppato la media spettatori.
Bari come il Parma, dicevamo all'inizio. Alla piattaforma Dazn ne sono convinti: come fece Sky con gli emiliani, si sono assicurati i diritti di tutte le partite. E la classifica conferma. Il Bari - la Bari, se volete, come amano dire moltissimi tifosi biancorossi - oggi è primo e imbattuto dopo dodici giornate fatte di nove vittorie e tre pareggi. Primo senza però aver ammazzato il campionato, per una Turris che non demorde al secondo posto. La squadra è allenata da Giovanni Cornacchini, ex bomber tascabile della serie B e uno scudetto, grazie a tre presenze, con il Milan nel 1992, da mostrare insieme alla Coppa Italia vinta con il Vicenza nel 1997. Ha già conquistato una serie D ad Ancona, quattro anni fa. In campo tantissima gente di categoria e qualche ex professionista come Valerio Di Cesare in difesa e Francesco Bolzoni a centrocampo. Il leader è Franco Brienza, quarant'anni da compiere il 19 marzo. Come (quasi) quarantenne era Alessandro Lucarelli, al momento di festeggiare il ritorno in C a Parma. In caso di serie A, poi, ci sarà un dilemma da affrontare: De Laurentiis dovrà scegliere, non potendo controllare due società nella stessa categoria. Ma, da qui a quel giorno, di tempo ce n'è.