Max Biaggi

Max è l'arte della motocicletta. Il 2019 a due ruote visto da Biaggi

Nicola Imberti

La maturità agonistica di Marquez, la scommessa di Aprilia, l’avventura da team principal. Il “Corsaro” parla del futuro del Motomondiale e spiega perché, quando si parla di moto, è meglio non fare pronostici

Dici Max ed è subito una pagina di storia del motociclismo italiano. Titoli vinti, sfide epiche in sella a due ruote. Per capirlo, ancora prima delle statistiche, basta seguirlo con lo sguardo mentre si aggira nel paddock di una qualsiasi prova del motomondiale. Foto, autografi, tanto affetto che non si spiega solo con i numeri. Quelli sono utili per gli almanacchi, per le nottate passate con gli amici, davanti a una birra, a decidere chi è “il più forte di sempre”. Un po’ come con Marc Marquez, che a 25 anni ha già conquistato cinque titoli di MotoGp (l’ultimo quest’anno, cui si aggiungono uno in 125 e uno in Moto2). E tutti già dicono che lui è il “cannibale”, che continuerà a vincere, che nessuno è in grado di batterlo e che ci attendono anni di noioso zapping davanti alla tv in attesa del suo ritiro. Max Biaggi, che in pista si è conquistato il soprannome di “corsaro”, ha troppa esperienza alle spalle per concedersi sentenze definitive. Anche perché, spiega al Foglio, “quando uno fa dei pronostici e tenta di interpretare il futuro normalmente finisce per fare figuracce”. “Anzitutto – prosegue – non è vero che il campionato di MotoGp sta diventando noioso. Quest’anno Marquez ha vinto il titolo con tre gare di anticipo, cosa ben diversa dal 2014 quando, come un martello pneumatico, aveva vinto le prime dieci gare della stagione. La MotoGp oggi è sicuramente più avvincente che in passato. E Marc ha capito che non bisogna arrivare primi per forza, a volte è più importante non buttare via un podio. Ha raggiunto una maturità agonistica”. Quindi continuerà il suo dominio? “Non lo so, questo ragazzo, pur giovanissimo, ha dimostrato di saper vincere ovunque. È un talento e di sicuro sarà protagonista e detterà legge per un lungo periodo. Però il motociclismo è materia complessa”.

 

 

 

E a differenza della Formula 1, è sport dove il fattore umano è ancora determinante. Perché non basta avere la moto migliore e tecnologicamente più avanzata, né essere un puro talento. “C’è chi dice che Marquez vincerebbe anche in Ducati. Non lo darei così per scontato. Si tratta di un pilota veloce, non c’è dubbio, e questa è una dote. La velocità non si impara con l’esperienza. Ma il campione non è solo colui che va più veloce degli altri. Il campione è chi riesce a guidare al di sopra del problema che c’è in quella giornata. Che può essere un problema meccanico, un problema di gomme. In un campionato di 18-19 gare l’aspetto principale è la costanza”.

 

Le leggende più o meno metropolitane che accompagnano tutti gli sport raccontano di piloti in grado di salire sulla moto, accenderla, e accorgersi di un problema nel retrotreno ancora prima di scendere in pista. Biaggi sarebbe uno di loro. Lui si schermisce: “Ma no, tutti i piloti hanno la loro sensibilità”. Però, forse, voi della vecchia generazione eravate più sensibili? “Non sopporto il gioco del ‘noi eravamo, loro sono’. Esistono piloti più sensibili di altri. C’erano ai miei tempi e ci sono anche oggi. E le difficoltà c’erano in passato quando si correva con i motori a due tempi e ci sono oggi. La verità è che il pilota deve essere in grado di dare buone indicazioni ai suoi meccanici e al team. E loro devono essere in grado di ‘tradurre’ i suoi desiderata per fornirgli una moto competitiva”.

 

Il vero segreto del motociclismo, forse, è tutto qui. In quella manciata di secondi dove anche stringere leggermente una vite può fare la differenza e una scelta sbagliata può compromettere una gara e il lavoro di un intero weekend. Senza contare che in una stagione che concentra in otto mesi 19 gare, anche il tempo di provare e sviluppare le moto è estremamente ridotto. “A dire il vero – sottolinea Biaggi – è sempre stato così. Si finisce a metà novembre, si prova fino a fine mese, e poi ci si ritrova a febbraio, con il campionato che inizia a marzo e una moto che, in gran parte, è già stata sviluppata. Ecco perché diventa fondamentale il lavoro che si riesce a fare con i collaudatori. Per la stagione 2019 Aprilia ha scelto Bradley Smith, un pilota che in MotoGp, con Ktm, è anche riuscito a entrare nei dieci. Insomma un test rider che può aiutare molto la squadra. Una scelta che conferma la volontà di fare sul serio visto che spesso il ruolo di collaudatore viene affidato a piloti non più in attività”.

 

“Dicono che Marc vincerebbe anche in Ducati.
Non lo darei così per scontato. Spesso non basta essere veloce”  

 

Non è un caso che Biaggi parli di Aprilia. Non solo perché è la moto con cui ha vinto di più (tre titoli in 250 e due in Superbike), ma perché nonostante le divagazioni dalle parti di Honda, Yamaha, Ducati e Sukuzi, è a Noale che tutto è iniziato. È lì che per primi, nel 1991, hanno deciso di credere in quel giovane ventenne romano, ed è lì che oggi Max ricopre il ruolo di ambasciatore del marchio nel mondo. Un incarico che non a caso è stato ufficializzato quest’anno, in un momento di grande svolta per la casa motociclistica italiana. Nel 2019, infatti, Aprilia ha deciso di puntare tutto sulla MotoGp ingaggiando al fianco di Aleix Espargarò, Andrea Iannone. “L’avventura di Aprilia in Superbike è stata ricca di soddisfazioni. Un’esperienza di enorme valore visto che si trattava di una moto interamente realizzata e sviluppata a Noale che ha ottenuto ottimi risultati. Negli ultimi anni l’impegno dell’azienda in quel campionato è venuto meno e con esso i risultati. Si è preferito concentrarsi sulla MotoGp che è il campionato più importante che esiste. Sia in termini di visibilità che in termini di ritorni economici. La scelta di Iannone è un investimento importante. Il team sta crescendo e lui deve dimostrare di poter essere un collaboratore attento, capace di cucirsi la moto addosso”.

 

 

Max Biaggi in sella all'Aprila RSV4 con cui ha vinto il Mondiale Superbike nel 2012  

 

Magari qualche consiglio potrebbe arrivare anche da Biaggi che lo scorso settembre, dopo l’incidente che lo aveva costretto a un lungo stop, è tornato in pista al Mugello con una Aprilia RSV4 in una sfida dal sapore vintage con Loris Capirossi. “È stato un gioco, non salivo in sella da un anno. È stato piacevole ed emozionante, soprattutto perché abbiamo corso al Mugello, una pista dove ho vinto e gareggiato. Certo poi la fatica si è fatta sentire. L’emozione è stata la stessa di quando avevo vent'anni. È sempre come se fosse la prima volta ma adesso, a differenza di quando avevo vent’anni, guido la moto con più moderazione. Magari si ripeteranno occasioni come quella del Mugello, ma con le competizioni ho chiuso. Rispetto a Marquez sono un pensionato duro”. E pensare che c’è chi, come Sete Gibernau, dopo essersi ritirato nel 2009, oggi, a 46 anni, ha deciso di rimettersi a gareggiare partecipando al campionato di moto elettriche. “Ne ho provata una – racconta Biaggi – Personalmente mi piace che la tecnologia avanzi, ma una moto che va più piano, non fa rumore, non ha il cambio proprio non mi appassiona. Io sono un vecchio ‘cane da pista’. Mi piace l’odore dell’olio bruciato, degli pneumatici consumati. E sinceramente, quando posso, preferisco scendere in pista con una moto ‘vera’, come la RSV4, che corre e rappresenta il massimo della tecnologia su due ruote. Non sento la necessità di gareggiare al solo scopo di rivangare un passato glorioso che non tornerà. Poi forse, tra dieci anni, non potremo fare a meno dell’elettrico. Per i miei figli sarà normale avere un veicolo alternativo, che non inquina e non fa rumore. Forse i miei figli capiranno, meglio di me, questa rivoluzione tecnologica”.

 

 

Nel frattempo, nonostante il successo di Francesco Bagnaia in Moto2 e gli ottimi risultati in Moto3, in MotoGp la “scuola italiana”, a differenza del passato, non sembra più in grado di battere con quella spagnola. Andrea Dovizioso, nonostante gli sforzi, quest’anno si è dovuto accontentare del secondo posto in classifica generale. E per il 2019 c’è già chi prevede che il trasferimento di Lorenzo alla Honda, dove diventerà compagno di Marquez, creerà una coppia imbattibile. “Non so, come ho detto, non faccio previsioni. Ma i piloti italiani ci sono. E arriveranno”. Certo, anche Biaggi, per la sua avventura in Moto3, ha scelto di puntare sullo spagnolo Aaron Canet. “La mia non è un Academy né una scuola. E non ha alcuna intenzione di esserlo. Il Max Racing Team è una realtà che esiste da qualche anno e ora è arrivata per noi l’occasione di entrare nel motomondiale e di provare a vincere subito. Ci è sembrata la mossa giusta da fare, il momento giusto per tentare. Mi vedo come un imprenditore di una piccola azienda che vuole ben figurare. Per me sono importanti i risultati, la competizione. Ho costruito questo team portando con me i tecnici che mi hanno accompagnato nella mia carriera, la mia famiglia dei motori. Io vestirò i panni del team principal. Magari potrò dare qualche indicazione al pilota su come affrontare la gara, sul lavoro da fare. Ma non sarò io ad accompagnarlo in pista. Il mio ruolo è occuparmi della parte gestionale”.

 

“Ho provato una moto elettrica. Ma io sono un vecchio cane da pista.
Amo la velocità e l’odore dell’olio bruciato”  

 

Insomma, un lavoro lontano dai riflettori. Perché alla fine puoi essere famoso, apprezzato, amato, ma se mancano i risultati e le vittorie tutto, nel tempo, tende inesorabilmente a scemare. Un po’ come Marquez che a guardarlo, di fianco ai suoi avversari, sembra quasi un alieno. Mai un pagina di rotocalco, una foto fuoriposto, un articolo di gossip che lo riguarda. Che sia proprio questo il segreto del suo successo? “Tra i piloti c’è chi si concede di più e chi di meno. Marquez, magari, preferisce che oggi si parli di lui per i risultati. O, meglio, che siano i risultati a parlare per lui. Poi, magari, col passare del tempo anche lui si ‘concederà’ di più. Vedremo”. Dopotutto quando si parla di moto e piloti, è sempre meglio non fare pronostici.