Quel mondo piccolo chiamato Cittadella
Società bene organizzata, risultati positivi, un settore giovanile con sedici squadre, oltre a cinque femminili. Così il Cittadella è diventato un modello per la serie B e non solo
Un mondo piccolo, come piccolo era quello di Giovannino Guareschi. Cittadella è abitata da 20.000 persone, nessun altro posto ne ha così poche in serie B. Ma qui, in quella che è per tutti la Città Murata (il centro storico è ancora oggi circondato dalle mura difensive medievali), la contrapposizione tra comunisti e cattolici non è sfociata in una partita con botte sul campo e un'invasione finale del pubblico, come quella tra la Dinamo di Peppone e la Gagliarda di Don Camillo. Nel 1973 la fusione tra la Cittadellese, espressione calcistica “a sinistra” della città, e l'Olimpia, nata in oratorio, ha portato alla creazione di una società modello e di una squadra che stabilmente si diverte a stare tra le grandi della B.
All'origine di tutto c'è Andrea Gabrielli, che di quella Olimpia era il presidente e che vedeva le due squadre faticare tra i Dilettanti. Di professione fa l'industriale, nel 1954 ha fondato un'azienda siderurgica che oggi è la seconda in Italia, a capo di un gruppo con 1.300 dipendenti e un fatturato di 800 milioni. Fuor di battuta greve, la fusione non è inizialmente semplice, per contrasti ideologici da smussare e risultati sportivi deludenti. Ma Gabrielli ha una visione a lungo termine, porta nel calcio le linee guida nel suo lavoro: chiarezza nella scala di comando e senso di appartenenza. Dalla nascita a oggi (con due sole eccezioni) la presidenza è sempre stata in mano a un Gabrielli, da Angelo ai due figli Piergiorgio e Andrea, che nel 2009 ha preso l'eredità del padre, tornato al comando nel 2002. Lo stesso vale per gli allenatori, che sono stati dodici e con due esoneri appena (Mario Tonelli nel 1986-87 e Gesualdo Albanese nel 1995-96). Una scelta che Gabrielli spiega con semplicità: “Non risolvi i problemi con i ribaltoni”.
Allenatori che hanno segnato la storia del Cittadella. A cominciare da Ezio Glerean, quello che conquista la prima promozione in C1 nel 1998 e poi quella in B nel 2000 battendo, per un divertente incrocio della storia, il Brescello, il paese in provincia di Reggio Emilia scelto per ambientarvi i film di Don Camillo. Glerean gioca con l'originale 3-3-4 applicato da Louis Van Gaal all'Ajax: la moglie Caroline è olandese e lui va spesso ad Amsterdam per trovare i parenti e studiare calcio. Resta fino al 2002, quando il Cittadella retrocede e Maurizio Zamparini lo chiama al Venezia, per portare tecnico e squadra pochi giorni dopo nel Palermo, che ha appena comprato. Glerean dura una giornata, esonerato dopo una sconfitta per 4-2 ad Ancona.
E poi c'è Claudio Foscarini. Passa alla piccola storia del calcio per aver condotto in B, nel 1998, l'Alzano Virescit, squadra nata dall'unione tra la società di un centro a pochi chilometri da Bergamo e quella di un quartiere della stessa Bergamo (Boccaleone). Fallita una promozione in C1 con il Rimini, va a Cittadella per ripartire da zero, dalle giovanili. Nel 2005 lo chiamano in prima squadra e ci resta dieci anni. Un record per il calcio italiano, come un record è la semifinale playoff di B raggiunta nel 2010 e persa con il Brescia. Un evento che si ripete la scorsa stagione, in panchina c'è Roberto Venturato, che ha preso il posto di Foscarini. Un allenatore singolare, non solo per il fatto di essere nato e cresciuto in Australia, dove sono emigrati i suoi. A Cremona è il vice di Emiliano Mondonico, passa in prima squadra e nel 2010 viene congedato. Non va in giro a pietire una panchina, si mette a fare il promotore finanziario. E non smette una volta tornato ad allenare, neppure a Cittadella, dove arriva nel 2015. Lo fa soltanto quando capisce che le responsabilità aumentano, dopo che la squadra ritrova la serie B nel 2016.
Con Venturato arrivano due playoff promozione e l'ottimo campionato attuale, con un gruppo solo di italiani. Non si pensi a una forma di razzismo latente, in una città dal 1994 a guida Lega Nord. Qui gli stranieri sono il 7,1 per cento, poco sotto la media italiana dell'8,3. Qui è nata Paola Egonu, formidabile opposto della Nazionale di volley, figlia di genitori nigeriani. La spiegazione è semplice, come dice Stefano Marchetti direttore generale dal 2002: “Difficile cercare stranieri, prendiamo quelli che sono già in Italia”. Come Christian Kouamé, ivoriano, riscattato dall'Inter e rivenduto al Genoa in estate per 5 milioni.
Scelte che fanno del Cittadella un modello. Società bene organizzata, risultati positivi, un settore giovanile con sedici squadre, oltre a cinque femminili. Un monte-stipendi che arriva a tre milioni, con i premi, e ingaggi al massimo di 80.000 euro netti, dati a giocatori scelti anche guardando alle qualità umane e che abbiano il senso di appartenenza di cui sopra. L'unico cruccio è il pubblico. Non quello di Cittadella, fedelissimo. Normalmente si vedono 4.000 spettatori in un impianto che ne contiene 7.600: una media di riempimento molto alta per la serie B. La società vorrebbe diventare un polo attrattivo per altre realtà. Le direzioni sono quattro, come le quattro porte della città: Padova, Vicenza, Bassano e Treviso. Ma nelle prime due il calcio ha forte tradizione (e non ha avuto frutto un primo tentativo quando il Cittadella giocava a Padova, con tanto di cambio di nome in Cittadella Padova), mentre nella terza non ha grande appeal. Resta Treviso, dove dalla serie A sono sprofondati in Eccellenza. Ma è sempre difficile chiamare qualcuno da fuori, soprattutto in una realtà fortemente campanilistica come quella italiana. E quindi, mondo piccolo. Ma bellissimo.