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Il curling è uno sport violento?

Giulia Pompili

La squadra sudcoreana e le violenze. La versione di Kim Eun-jung, Kim Seon-yeong, Kim Cho-hee, e le sorelle Kim Yeong-ae e Kim Yeong-mi

Ve le ricordate le Garlic Girl? Forse no. Perché i Giochi olimpici invernali di Pyeongchang, cioè l’ultima edizione, quella che si è svolta a febbraio in Corea del sud, quasi al confine con il Nord, verranno ricordati per questioni molto più politiche che sportive. Sono state le Olimpiadi del riavvicinamento tra le due Coree, che hanno sfilato sotto la stessa bandiera, e tutti a celebrare l’incredibile lavoro diplomatico per far salire sullo stesso palco d’onore la first daughter Ivanka Trump e la first sister più famosa del mondo, Kim Yo-jong. E infatti tutte le attenzioni erano per lei, la sorella del leader nordcoreano, e per la squadra di cheerleader arrivate direttamente da Pyongyang. Poco è arrivato in occidente delle storie sportive che invece hanno infiammato i cuori asiatici: il giapponese Yuzuru Hanyu, rockstar del pattinaggio, la sfigatissima inglese Elise Christie, favorita nello speed skate, che è stata squalificata in tutte e tre le specialità come le era già successo a Sochi 2014. Ma soprattutto il curling. E la nazionale femminile di curling sudcoreana.

 

 

Kim Eun-jung, Kim Seon-yeong, Kim Cho-hee, e le sorelle Kim Yeong-ae e Kim Yeong-mi. Le Garlic Girl, appunto: un team formato da cinque ragazze che si chiamano tutte Kim di cognome, e quattro su cinque di loro vengono dalla contea di Uiseong, dove si produce il famosissimo aglio sudcoreano (e lì l’aglio è dappertutto, è il totem della regione). I giornali di mezzo mondo sono impazziti per questa squadra, che ha fatto il miracolo: anzitutto perché il curling è uno sport pressoché sconosciuto in Corea del sud, ed era soltanto la seconda volta che la Nazionale arrivava alle Olimpiadi. E poi perché queste cinque atlete, che fanno uno sport che a vederlo alla tv è pure divertente, avevano tutte una faccia estremamente televisiva. Sembrava un team costruito a tavolino con l’obiettivo di rivoluzionare l’immagine dello sport, e le cinque nell’arco di poco tempo, mantenuti i loro teneri soprannomi come “yogurt” e “pancake”, si sono ritrovate ambasciatrici della nuova korean wave, un soft power culturale che da tempo il governo sudcoreano cerca di promuovere nel mondo. In fondo giocavano in casa, hanno avvertito l’incredibile attenzione che c’era sulle loro performance, e sono arrivate addirittura a vincere la semifinale con le tecnicissime giapponesi e poi a disputare la finale con la Svezia: un posto dove il curling ha una tradizione un po’ più antica. Insomma, era un sogno diventato realtà, i giornali andavano a Uiseong a intervistare amici e parenti, i fan inviavano lettere e pupazzetti.

 

Poi improvvisamente tutto è cambiato. Anche fisicamente: le immagini delle Kim felici e sorridenti ai Giochi olimpici fanno impressione se paragonate alle loro espressioni durante una conferenza stampa di metà novembre, quella in cui hanno detto la verità: abbiamo subìto violenze.

 

Nell’èra del #MeToo, lo scandalo sessuale è quello che fa più notizia, mentre quello che hanno denunciato le Garlic Girl non c’entra niente col sesso, o con l’atteggiamento predatorio, c’entra invece con l’ossessione tutta coreana della perfezione, della disciplina e del raggiungimento degli obiettivi. E con una certa tendenza al nepotismo, al maschilismo più puro, e alla corruzione. In una lettera consegnata al comitato olimpico, le cinque atlete hanno accusato l’ex vicepresidente della federazione coreana di curling, Kim Kyung-doo, di aver abusato verbalmente di loro. Hanno accusato tutto il team di allenatori (composto guarda caso dalla figlia del vicepresidente e da suo marito) di aver dato “ordini irragionevoli” e aver avuto un controllo maniacale sulla vita privata delle ragazze. Per esempio, la posta veniva controllata prima di arrivare alle Kim, e i regali dei fan sequestrati. Gli allenatori avrebbero tentato di buttare fuori dalla nazionale il capitano Kim Cho-hee, dopo il suo matrimonio, per paura che rimanesse incinta. E soprattutto queste cinque ragazze non avrebbero visto un soldo delle loro vittorie sportive. Qualche giorno fa Kim Kyung-doo ha dato le dimissioni da dirigente sportivo e si è assicurato che lo facessero anche i due membri della sua famiglia, “per il bene del curling”. Ha ammesso di essere stato violento verbalmente, e ha chiesto scusa alla Nazionale femminile. Che ora si prepara per le Olimpiadi invernali di Pechino 2022.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.