Il Milan ad Atene per capire com'è cambiato il calcio nella Grecia del post crisi
I rossoneri in casa dell'Olympiakos giocheranno l'ultima partita del girone di Europa League. Le nuove ambizioni dei club greci
Come nell’antichità. Chi ci vive lo chiama ancora “Peiraiéus”. Ma la prima citazione vera risale già al 390 a.C.. L’opera filosofica di Platone, “La Repubblica”, comincia dal dialogo di Socrate: “Ieri scesi al Pireo con Glaucone, figlio di Aristone…”. Sembra una città di mare del tutto a sé stante, rappresenta il maggiore porto d’Europa per passeggeri, il più grande del Mediterraneo, eppure in linea d’aria il centro di Atene dista appena dieci chilometri. Oggi il Milan “scenderà” al Pireo per giocarsi, contro l’Olympiakos, il passaggio ai sedicesimi e il primo posto nel girone F di Europa League, aspettando il risultato di Dudelange-Betis. Gli spagnoli con ogni probabilità rimarranno primi: i lussemburghesi non hanno ancora conquistato un punto in Europa. Ai rossoneri rimarranno i ricordi di due notti di maggio, quella del 1994 e del 2007, nelle quali, sotto il cielo della capitale greca hanno vinto la Champions League.
Un giro al Pireo, in un qualunque giorno della settimana, racchiude il senso di “porto di mare”, tra navi pronte a salpare, traffico impazzito, pita gyros da portar via, il limitrofo mercato del pesce e un disordine perenne tra viaggiatori che arrivano da ogni dove. Per il match Higuain e compagni non si spingeranno fino alla zona del porto perché il Geōrgios Karaiskakīs si trova a una fermata dal capolinea della metropolitana, a Faliro, il quartiere che originariamente dava il nome all’odierno impianto. Il Milan in una competizione europea non sfida l’Olympiakos in Grecia dal 1959, quando pareggiò 2-2 al primo turno di Coppa Campioni. Gli erithrolefki (i rossobianchi) sono il simbolo dei portuali, dai quali nacque il club nel 1925, e lo stadio stesso riflette molto la “grandeur” del club più titolato di Grecia (44 scudetti), oltre alle ambizioni del suo discusso patron, Evangelos Marinakis, approdato sulla scena nel 2010 per accrescere la megethos (grandezza) del club, ma anche attirando ombre e parecchi dubbi su certe operazioni. L’armatore è nato proprio nel Pireo, è stato eletto consigliere comunale locale con una lista civica e vanta un patrimonio netto di circa 650 milioni di dollari. Anche per causa sua l’Olympiakos è parecchio inviso in patria. E su Marinakis pendono accuse di corruzione e associazione a delinquere per aver tentato di alterare i risultati sul campo, con tanto di intimidazioni agli arbitri.
Lo stadio Geōrgios Karaiskakīs (Olympiakos) e la zona del Pireo sullo sfondo (foto di Giorgio Coluccia)
Da almeno un anno a questa parte però il vento sembra essere cambiato ed è una mutazione che riflette gli sviluppi del calcio greco post crisi.
Un primo fattore è rappresentato dal riacutizzarsi della rivalità tra la capitale e Salonicco, seconda città della Grecia e mai arresasi allo strapotere ateniese. La competitività ritrovata dal Paok ha fatto il resto, il primato nell’attuale Souper Ligka Ellada certifica l’ambizione di voler riportare il titolo in quella che fu l’antica Tessalonica a distanza di 33 anni. Anche per spezzare l’egemonia di Atene, visto che l’ultima volta che lo scudetto andò a un club non della capitale risale alla stagione 1987/1988, con il titolo vinto dal Larissa, compagine della Tessaglia. L’anno scorso il Paok ha gettato al vento la possibilità di vincere il torneo anche a causa delle intemperanze tra le mura amiche, costate uno 0-3 a tavolino contro l’Olympiakos (il tecnico dei biancorossi era stato colpito da un rotolo di carta igienica) e la sceneggiata in occasione dello scontro diretto con l’Aek, alla cui sospensione è scaturita l’ormai celebre invasione del presidente Ivan Ignatyevich Savvidis, sceso in campo con una pistola nella fondina. E’ stato lui, esule greco del Ponto, a rilanciare il club dell’aquila bicefala dopo averlo acquistato nel 2012 e aver ripianato tutti i debiti.
L’altro fattore che ha rimescolato le carte è stato il ritorno alla gloria dell’Aek Atene, che nella passata stagione ha vinto il campionato spezzando il duopolio di Olympiakos e Panathinaikos: non accadeva dal 1994, anno in cui il torneo andò proprio ai gialloneri. Una svolta che ha spinto in molti a paragonare l’attuale situazione calcistica a quella politica, in quanto l’avvento del Primo Ministro Alexi Tsipras nel 2015 ha portato al potere il partito di Syriza, spezzando l’alternarsi tra i socialisti del Pasok e i conservatori di Nea Demokratia, perdurante dalla fine della dittatura dei colonnelli. Non a caso negli ultimi anni calcio e crisi economica hanno spesso finito per andare a braccetto, il Paese ha vacillato sull’orlo del default, è stato zavorrato dai debiti contratti con l’Europa, nonostante dall’economia ora arrivino timidi segnali di ripresa. L’Aek è tornato ai vecchi fasti dopo il dramma della primavera 2013, in cui il club retrocesse due volte, una sul campo e una d’ufficio, ritrovandosi, causa bancarotta, tra i semiprofessionisti di terza serie. Le vicissitudini societarie ora sono solo un ricordo anche grazie all’avvento del magnate Dimitris Melissanidis, che cinque anni fa si ritrovò tra le mani un club al verde, con quasi 150 milioni di euro di tasse non pagate.
L’Aek quest’anno disputa la Champions League, le finanze della società godono di miglior salute e per 65 milioni di euro è già in costruzione l’Agia Sophia Stadium nel quartiere di Nea Filadelfia. Sorgerà a poca distanza dal complesso olimpico, dove nel 1924 la squadra venne fondata da un gruppo di immigrati ellenici in fuga da Costantinopoli, l’odierna Istanbul, per via del conflitto con la Turchia. La K nel nome societario è un tributo alle radici (Kōnstantinoupoleōs), da condividere proprio con i rivali del Paok Salonicco, anch’esso fondato da rifugiati nell’antica Tessalonica: da qui la somiglianza nei due stemmi, l’aquila a due teste porta il messaggio della dominazione da est a ovest, ricordando la dinastia dei Paleologi, l’ultima capace di governare l’impero bizantino, e ricalca quello della Chiesa greco-ortodossa.
Una squadra che invece sta ancora scontando gli effetti della crisi è il Panathinaikos, penalizzato nell’odierna stagione proprio per le notevoli difficoltà economiche. Il club deve far fronte ai debiti, per questioni di fair play finanziario l’Uefa l’ha escluso dalle competizioni europee per tre anni e la federazione greca ha dovuto votare una mozione che scongiurasse una retrocessione d’ufficio per inadempienze finanziarie, come accaduto con l’Iraklis di Salonicco.
Solo nell’agosto scorso la Grecia ha detto addio al terzo e ultimo piano di aiuti internazionali che hanno evitato bancarotta e addio all’euro, in cambio di sacrifici pesantissimi. Qualche segnale di ripresa c’è, il Pil potrebbe crescere fino al 2 per cento, la disoccupazione è scesa al 20 per cento, dal 28 di cinque anni fa, e il turismo ha appena stracciato la cifra record di 30 milioni di visitatori, come mai era accaduto in passato.
Ad Atene qualche giorno fa da Exarchia, uno dei quartieri anarchici più antichi d’Europa, è partita l’ultima protesta degli studenti greci contro la riforma dell’istruzione voluta da Tsipras, e da piazza Omonia e Panepistimiou si è estesa fino alla nota Platía Sintágmatos.
Il quartiere anarchico di Exarchia, poco distante dal centro di Atene (foto di Giorgio Coluccia)
Eppure anche nel periodo più buio, con il crollo della competitività del campionato ellenico, la Grecia non ha mai smesso di respirare calcio. L’incredibile cavalcata all’Europeo del 2004 resta nell’immaginario di tutti e in un pomeriggio qualsiasi, passeggiando nel quartiere di Thissio, i riverberi del tramonto irraggiano il Partenone mentre alcuni ragazzi inseguono un pallone. Proprio lì, alle pendici dell’Acropoli, nel cuore di Atene. Per la quale gli dèi dell’Olimpo decisero che quella città fondata da Crecope avrebbe preso il nome dalla divinità che avesse donato agli uomini il bene più prezioso. Toccò ad Atena: fece nascere un ulivo, simbolo di pace e prosperità per tutti. Quasi un auspicio, per i tempi di adesso.