Le vittorie del Borussia Dortmund sono una questione di filosofia
Gli anni Novanta hanno segnato un’epoca, ma è dal quasi fallimento del 2006 che il club ha capito che senza settore giovanile non si può sopravvivere nel calcio moderno (se non si è ricchi)
Gli allenatori e i giocatori passano, la filosofia resta. Per il Borussia Dortmund quello che potrebbe sembrare uno slogan è diventato un assioma: viene assunto come vero perché ritenuto evidente. Già nel maggio 2015 il direttore generale Hans-Joachim Watzke lo certificò senza giri di parole, appena finita l’era Jurgen Klopp durata sette stagioni: “Per noi non cambia nulla. Il mercato sta andando verso cifre folli, continueremo a investire sui giovani”. Finito l’interregno di Tuchel e l’annata di passaggio con Bosz e Stoger, gli schwarzgelben della Ruhr hanno ripreso a stupire l’Europa. Con un nuovo allenatore, altri giocatori, ma con la medesima filosofia. Primo posto nel girone di Champions League e primo posto in Bundesliga, con tanto di titolo d’inverno già archiviato indipendentemente da come andrà a finire la partita di stasera con il Borussia M'Gladbach, seconda in classifica. Non succedeva da otto stagioni, nelle quattro volte in cui il Dortmund ha “girato” da capolista nella sua storia è sempre arrivato il Meisterschale a maggio.
I gloriosi anni Novanta hanno segnato un’epoca, così come il tonfo successivo che ha portato il club sull’orlo del fallimento nel 2006. Da quel momento crescere i talenti in casa propria e, con il passare del tempo, dare la caccia a quelli migliori in circolazione è diventato imprescindibile. Il Dortmund continua a destinare ogni stagione almeno otto milioni alla cura del proprio settore giovanile, quest’anno si è presentato ai nastri di partenza della Bundesliga con la quarta rosa più giovane di tutto il torneo: 24,8 anni di media, solo uno in più del Mainz (compagine più giovane) e ben tre in meno del titolatissimo Bayern. La situazione ideale per un architetto come il nuovo allenatore Lucien Favre, svizzero navigato in terra teutonica e abituato a valorizzare risorse che solo a prima vista non sembrano luccicare. E' andata bene sinora: aspettando il big match di stasera al Westfalenstadion, i gialloneri hanno perso solo due volte in stagione: il ko indolore contro l’Atletico Madrid in Champions e l’inaspettata battuta d’arresto di Dusseldorf.
Nell’estate scorsa il club ha messo in piedi una rosa in cui l’entusiasmo e l’incoscienza dei giovani fanno il paio con l’esperienza dei più navigati: a Witsel, Delaney, Reus, Gotze si abbina il futuro luminoso dei vari Pulisic, Sancho, Philipp, Dahoud e Bruun Larsen. In questo spartito l’intermezzo esemplificativo, poco appariscente ma estremamente funzionale, è l’attaccante spagnolo Paco Alcacer, 25 anni e già 13 gol stagionali: è il capocannoniere della Bundesliga, nove volte ha segnato entrando dalla panchina tanto che il club tedesco ha già pagato il riscatto al Barcellona, portandosi a casa tutto il cartellino per 25 milioni di euro complessivi. E pensare che il d.s. Michael Zorc lo aveva selezionato attraverso un app per il calciomercato equiparabile a Tinder, rendendo il video virale in pochissimo tempo. Invece Alcacer impersonifica al meglio la bontà della filosofia per antonomasia. Riconosciuta anche da un pilastro nazionale come l’ex portiere Oliver Kahn: “Il Dortmund non va dietro a calciatori già formati. A quelli fatti in casa aggiunge giovani con un’età che permetterà loro di continuare a svilupparsi e crescere. E’ un discorso che ruota attorno alla valorizzazione del potenziale, sotto l’aspetto tecnico, ma anche economico”.
La società della Vestfalia quest’anno in rosa presenta 6 giocatori cresciuti o comunque arrivati al grande calcio attraverso il proprio settore giovanile: Reus, Schmelzer, Gotze, Pulisic, Bruun Larsen e Burnic. Per com’è strutturato il calcio tedesco il numero è del tutto nella media, ma con i minutaggi alla mano il Borussia Dortmund (dopo lo Stoccarda) risulta il club che concede più spazio ai calciatori “autoctoni”. Il messaggio è chiaro: i giovani bisogna coltivarli, ma anche mandarli in campo. Poi venderli, monetizzare e ricominciare daccapo. L’ultimo esercizio di bilancio si è chiuso con un’entrata di 536 milioni, ben 222,7 derivanti dalle cessioni di Aubameyang e Dembélé. Finiti nelle big del calcio europeo, come i loro predecessori Mkhitaryan, Hummels, Gundogan e Lewandowski. Ma i nomi non contano perché la filosofia viene prima di tutto e quest’anno sembra tornato anche l’entusiasmo dei tempi migliori. Il Borussia Dortmund è Echte Liebe, vero amore.