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Mandzukic e la rappresentazione dello stile Juve

Leo Lombardi

Il croato segna il gol decisivo contro la Roma. In questo campionato ha segnato a tutte le big.

Non inganni Cristiano Ronaldo, come non ci si faccia deviare dai vari Dybala, Pjanic o Cancelo. Perfino da uno come Chiellini. Se uno vuole cercare il segreto della Juventus attuale deve mettersi sulle tracce di Mario Mandzukic. È lui il giocatore che incarna al meglio lo spirito di una squadra che, mai come nessun'altra, ha avuto un tale ruolino di marcia in Italia. In 17 giornate, 16 vittorie e un pareggio, per un campionato in cui, una dietro l'altra, le avversarie hanno tutte alzato bandiera bianca. Tanto, quello che conta, è arrivare tra le prime quattro, per assicurarsi un posto nella prossima Champions League. L'unico a resistere è il solito Napoli, perché da quelle parti lo scudetto lo hanno vinto poche volte. E, soprattutto, conta ancora qualcosa.

 

Con le possibili rivali per il titolo, Manduzkic è stato implacabile. Due reti al Napoli e una all'Inter, cui aggiungere i gol a Milan, Roma e Lazio. Quando si è trattato di incrociare una big, il croato si è subito premunito di ridurla a presunta tale, diventando il simbolo della bulimia stagionale bianconera. Lui e la Juventus sembrano fatti l'uno per l'altra. “Dobbiamo essere belve feroci”, ha detto in un'intervista. Evento raro, visto che vive con fatica il rapporto con le parole. Con i giornalisti contatti ridotti anche al di sotto del minimo sindacale, con i compagni di squadra poco più. Al punto che l'ha preso per i fondelli perfino il presidente Andrea Agnelli all'ultima festa di Natale della Juventus: “Vieni tu sul palco - ha detto a Cristiano Ronaldo - perché se chiedo qualcosa a Mario finiamo domattina”.

 

Quando parla, però, il croato lascia il segno. Chiedere a Pep Guardiola, per esempio. Il magnifico catalano arriva al Bayern nel 2013, Mandzukic - con Jupp Heynckes allenatore - ha appena centrato Champions League (con un gol nella finale contro il Borussia Dortmund), Bundesliga e Coppa di Germania. Segna come mai fatto prima anche con Guardiola, salendo a 18 gol, ma dopo un solo anno assieme saluta e si trasferisce all'Atletico Madrid. Perché proprio da Dortmund si presenta Robert Lewandowski e perché Pep lo tiene fuori nelle ultime giornate, impedendogli di fatto di vincere la classifica marcatori, chiusa secondo con due reti in meno del polacco. Un torto enorme per Mandzukic, che se ne va sentenziando: “Sono incompatibile con il sistema di gioco di Guardiola”.

 

Un sistema di gioco che sembrava a un certo punto metterlo da parte anche alla Juventus, nonostante un primo anno con soddisfazioni reciproche: 10 gol per il croato e la doppietta campionato-Coppa Italia. Il motivo? L'ingaggio nel 2016 di Gonzalo Higuain dal Napoli. Uno che, hanno sempre detto, è abituato a giocare da solo, a essere l'unico punto di riferimento in attacco. Mandzukic appare così di troppo, fino a quando Allegri non decide di spostarlo in fascia. Un ruolo che aveva sofferto al Wolfsburg, con Edin Dzeko centravanti, ma che alla Juventus gli regala una nuova vita. Soprattutto perché lo interpreta in maniera convinta. Decisivo il rapporto con Allegri (“È lui che mi ha voluto alla Juventus: è una grandissima persona e capisce di calcio”), come lo era stato quello tra José Mourinho e Samuel Eto'o nell'Inter del Triplete, con il camerunese pronto a spostarsi di lato per mettere in atto le idee del tecnico. Mandzukic si sacrifica in nome del gruppo, non più terminale offensivo ma giocatore a tutto campo, che mette apprensione alle difese avversarie e che torna indietro a dare una mano importante. Non a caso passione, orgoglio e coraggio sono gli hashtag che ama postare (sì, ha una vita social, nonostante tutto), termini che innervano ogni atleta che arrivi dalla Croazia, straordinario serbatoio di talenti come nessun altro luogo in Europa.

 

Lo si è visto anche sabato sera contro la Roma: la rete decisiva e poi dietro a strappare palloni in area, quando la squadra di Eusebio Di Francesco cercava timidamente la rimonta. Un giocatore totale, uno che Felix Magath - suo allenatore al Wolfsburg - raccontava capace di disputare due partite senza fermarsi neppure un minuto. Per questo nello staff di Allegri lo adorano, ricambiati dal croato, che ha deciso in estate di restare (lo cercava la Premier) quando ha saputo che il tecnico non si sarebbe mosso. Con Ronaldo forma una coppia perfetta là davanti, i due si cercano e si trovano. Non è un caso che abbiano rinunciato alle rispettive nazionali: a oltre trent'anni hanno preferito gestirsi per i club, gli effetti si vedono. Con quella di sabato sera siamo a otto reti, già seconda miglior prestazione personale da quando Mandzukic è in serie A. Gliene mancano due per eguagliare il record italiano. Ci arriverà, proseguendo così, ma sarà il minore dei suoi interessi. Non potrebbe essere altrimenti per uno che sostiene che sia “meglio vincere le partite che contare i propri gol”. Poi domandatevi perché la Juventus non abbia rivali da noi.

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