Non può essere un arbitro a misurare il grado di razzismo di un paese
Il vero errore di Mazzoleni in Inter-Napoli è stato ammonire Koulibaly per un fallo normale. Ma siamo proprio sicuri spettasse a lui sospendere la partita?
Bisognerebbe prima o poi chiarirsi su quale sia il compito dell’arbitro in una partita di calcio. Gestire ventidue uomini (o donne) intenti a prendere a calcio un pallone pare non bastare più. Protocolli, norme e direttive hanno negli anni trasformato la romantica giacchetta nera in una via di mezzo tra un burocrate, un osservatore di immagini alla moviola, un atleta, uno psicologo – perché bisogna capire lo stress e la tensione dei calciatori, naturalmente – e un esperto di tattiche, visto che Pierluigi Collina sosteneva che un arbitro dovesse conoscere il modo di giocare delle squadre in campo, compresa la lunghezza media del rinvio effettuato dal portiere.
Quel che non si può domandare ai fischietti, però, è di stabilire quanto un paese sia razzista. Ammesso che sia possibile farlo. Paolo Silvio Mazzoleni di Bergamo, arbitro internazionale giunto alla sua ultima stagione in serie A, si sta togliendo più di una soddisfazione quest’anno: a mente libera si può dirigere senza badare troppo ai contraccolpi mediatici, alle ramanzine dei superiori, alle minacce di finire in castigo in partite di medio-bassa caratura.
Mercoledì ha commesso un vero errore: ammonire Koulibaly, peraltro su indicazione dell’assistente di linea, per un fallo normale che non richiedeva il provvedimento disciplinare. Sulla mancata sospensione della partita per ululati razzisti, solo lui sa cosa le sue orecchie hanno sentito. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, parla di “razzismo di stato”. Ma può essere un arbitro il giudice chiamato a decidere se in uno stadio sia in corso un’esibizione razzista? E’ l’arbitro che deve valutare se i buu sono così forti, continui e ripetuti da dover determinare lo stop all’incontro? E’ l’arbitro che deve stabilire – mentre dirige la partita – se i cori discriminatori (o i semplici indecenti ululati) provengono da una zona consistente dell’impianto di gioco e non da una frangia di cento idioti? Il paradosso è che ora sul banco degli imputati non sono finiti i responsabili del fatto – ma qualcuno ha capito quanti erano e da dove si “esibivano”? – ma l’arbitro, colpevole di non aver sospeso il match. Una follia ma anche la soluzione più rapida e pigra a un problema enorme che anni di dibattiti culturali, pause di riflessione e talk-show ad hoc, non hanno saputo o potuto risolvere.