Chi sono “i responsabili dei tifosi”?
Matteo Salvini li vuole convocare al Viminale con i rappresentanti delle società di calcio. Peccato che non esistano
I responsabili dei tifosi. Al Viminale il prossimo 7 gennaio. Insieme con le società di calcio di Serie A e B. Perché non si può morire per una partita di calcio. Nobili le parole e gli intenti del ministro degli Interni. Peccato che i responsabili dei tifosi non esistano. A meno che Salvini non avesse pensato di portare al Viminale tipetti come Luca Lucci, il capo ultrà milanista, trafficante pregiudicato, già salutato con trasporto alla festa della Curva Sud, nella sua autoproclamata veste di “indagato fra gli indagati”. Personaggi del genere sì che sono “responsabili” delle azioni dei loro gruppi, violenti e ricattatori, la punta estrema dell’iceberg della galassia ultras, la cui base peraltro è composta anche da ragazzi armati soltanto di passione e principi etici, magari un po’ antichi, ma rispettabili. L’aveva buttata lì, Salvini, a caldo, l’idea di coinvolgere in una riunione al ministero – una trattativa? – organizzatori di agguati come quello in cui ha perso la vita Daniele Belardinelli. Poi, come spesso gli capita, si è accorto dell’enormità della cosa e ha innestato la retromarcia parlando di convocazione di tifoserie “pulite, tranquille”.
Ma allora chi sono i responsabili dei tifosi puliti, tranquilli, cui pensa Salvini? Se si riferisce ai coordinatori dei club organizzati, beh, si risparmi pure lo sforzo di coinvolgimento. Quei signori, tutte persone perbene, non hanno purtroppo nessuna possibilità né di controllare i comportamenti collettivi né di contribuire a un clima migliore negli stadi. Almeno, non più di quanto già fanno. La realtà è che in Italia quando si parla di rapporti con le tifoserie si pensa sempre e soltanto ai rapporti con gli ultras. Per paura o per pigrizia. O per un mix di entrambi gli stati d’animo. Lo si può notare persino negli atteggiamenti basici. Dove vanno i giocatori a festeggiare dopo una vittoria? Sotto la Curva. Chi salutano i giocatori dopo un risultato non positivo? La Curva. Con la C maiuscola. Quella degli ultrà. Mai l’altra curva. O la tribuna. O i distinti, come si chiamavano una volta. In tutti gli altri sport, ma pure in tutti gli altri paesi dove si fa calcio, i protagonisti si rivolgono sempre a tutto il pubblico, si girano verso i quattro punti cardinali, inchini, saluti, ringraziamenti. Negli stadi di calcio italiani, no: si rende omaggio agli ultrà. E basta. Per non parlare di quando i giocatori vengono reclamati, dopo una sconfitta, sotto la Curva per esserne sbeffeggiati, offesi, umiliati, talvolta colpiti; per fare atto di sottomissione.
Ormai non ci facciamo quasi più caso. Ma le radici del male sono anche lì. Nelle cattive abitudini. Nell’incapacità di resistere ai ricatti. Nelle piccole e grandi debolezze. Quando addirittura non si sconfina, da parte delle società calcistiche, nella complicità con atteggiamenti malavitosi e nel favoreggiamento dei gruppi violenti, magari soltanto lasciando loro la disponibilità di biglietti. Ecco perché non è solo problema di ordine pubblico. Certo, in buona parte lo è ed è quasi inutile ricordare una volta di più con quali sistemi in altri paesi, non solo l’Inghilterra, hanno risolto, o perlomeno ridimensionato di molto, l’emergenza. Va aggiunto però che a consolidare i piccoli privilegi, persino la legittimità di atti prevaricatori degli ultras violenti, spesso sono le stesse forze dell’ordine, quando consentono, anzi suggeriscono, ai dirigenti delle società di lasciare entrare nei centri sportivi, persino negli spogliatoi, i minacciosi capi bastone di turno, permettendogli di processare giocatori e allenatori. Per evitare guai peggiori, dicono, anche loro per pigrizia e quieto vivere.
Ecco perché i ras delle Curve sono oggi gli unici rappresentanti riconosciuti e riconoscibili, persino nobilitati e intervistati dai media. Quando si dice che i tifosi di una determinata squadra contestano la società, ce l’hanno con l’allenatore, sono in rivolta contro un giocatore, in realtà si parla soltanto di una parte minoritaria, molto minoritaria della categoria: gli ultras, gli unici in grado di fare sentire la propria voce. Di tutti gli altri, la maggioranza di quelli che vanno allo stadio o tutti quelli che seguono il calcio in tv o con altri mezzi, non sappiamo, se non per approssimazione, che cosa pensano e che cosa vorrebbero. Non hanno rappresentanti, loro.
Scriveva Mario Sconcerti in settimana sul Corriere della Sera a proposito del boxing day calcistico: era davvero un’esigenza dei tifosi? Come saperlo? Magari con una ricerca di mercato. Ma ci sono modelli di governance del pallone, sia pure abbozzati, come in Inghilterra, che prevedono la presenza negli organi di gestione e di controllo (sia a livello di Federcalcio sia di singole società) di consiglieri indipendenti rappresentanti delle tifoserie. Basterebbe studiare forme democratiche di individuazione dei candidati, coinvolgendo non soltanto i club organizzati, ma anche gli abbonati, i follower o i registrati al sito internet della società. Ecco, questi rappresentanti sì che servirebbero al tavolo di Salvini al Viminale.