No, la pausa invernale infarcita di polemiche no
Ogni giorno c'è una scusa buona per indignarsi, rifatevi gli occhi e il cuore guardando la Premier
Vi prego, mai più pause invernali così lunghe per la serie A: ho già l’orchite e mancano due settimane all’inizio del girone di ritorno. Come si possono sopportare venti giorni di pipponi sulla violenza degli ultras, di editoriali sui buu negli stadi usati come analogia di tutto ciò che non piace, di selfie al mare di calciatori sbronzi e barzotti abbracciati a bonazze da urlo, di approfondimenti sul fatto che Cristiano Ronaldo fa ginnastica anche di notte, fa le flessioni sullo yacht ed è stato visto mangiare sano persino in un ristorante a Trastevere, senza avere voglia di darsi allo shopping con le proprie fidanzate?
Nella gara a chi inventa la polemica più puntuta del giorno, ci sono pure quelli che ci provano senza riuscirci: mi fanno tenerezza i tifosi del Torino che cercano di montare il caso dei buu al loro giocatore Meité – fischiato e (forse) insultato con ululati dai mesti tifosi laziali all’Olimpico – senza riuscirci: come se non sapessero che anche il razzismo sui media si porta a seconda del momento e della vittima (e del governo in carica).
Ora che è finito il girone di andata, si può dire che ormai la serie A assomiglia sempre di più all’incontro tra il pugile Mayweather e il kickboxer giapponese Nasukawa (l’ho letta su internet, mica seguo queste cose), con il primo che annienta il secondo in 138’’, incassa un sacco di soldi e dell’altro lascia appena il ricordo delle sbruffonate dette prima di salire sul ring (non devo spiegarla, vero?). Scusate, sto parlando di sport mentre voi siete tutti impegnati a commentare una notizia che si sapeva da mesi, quella della finale di Supercoppa nella poco femminista Arabia Saudita. Farlo a pochi giorni dalla partita, quando la sede della sfida è stata decisa nel giugno scorso, mi ricorda il tempismo di Lopetegui, l’allenatore spagnolo che ha lasciato la Nazionale a inizio Mondiale per andare ad allenare il Real Madrid da cui è stato esonerato quattro mesi dopo: tutto sbagliato, tutto inutile. Sarà il brandy delle feste, passate a godermi le partite di Premier League, ma voglio essere sincero: più che indignarmi perché il paese in cui i calciatori si dipingono la faccia di rosso una volta all’anno in solidarietà alle donne, di fatto trasformando la violenza su di loro in carnevalata, organizzi la Supercoppa in Arabia Saudita, trovo surreale che da anni a sfidare la Juventus campione d’Italia sia la squadra che a turno è stata battuta dalla stessa Juventus in finale di Coppa Italia.
Per fortuna c’è la Premier, felicemente orfana di Mourinho e incantata da Solskjær, il norvegese che con la faccia di uno capitato in panchina per caso ha fatto tornare le vittorie, il gioco e il divertimento all’Old Trafford: quattro vittorie di fila del suo Manchester United contro squadre non irresistibili non significano quasi niente, ma c’è chi è pronto a giurare che l’effetto dell’ex giocatore dei Red Devils sulla panchina che fu del suo maestro Ferguson potrebbe essere simile a quello di Di Matteo sulla panchina del Chelsea. L’unica cosa certa al momento, per dirla alla francese, era che lo Special One aveva rotto le palle (alla francese nel senso di Pogba, of course). Chi non vince mai per caso è Pep Guardiola: dategli una partita decisiva e difficilmente la sbaglierà. Giovedì sera ha tramortito il Liverpool per gran parte del match, riaperto la corsa al titolo e ricordato a tutti che l’allenatore dei Reds, Jurgen Klopp, è un genio, simpaticissimo e grande motivatore, ma sbaglia più gare importanti lui che previsioni di mercato Tuttosport.