Basket Nba, enes Kanter (a sinistra) nella sfida tra Utah Jazz (la sua prima squadra) e New York Knicks (foto LaPresse)

Il bandito è il campione

Enrico Cicchetti

La lunga guerra tra il presidente turco Erdogan e Kanter, cestista dell’Nba, tra delazioni, spie, arresti (e partite mancate). Spy story sul parquet

Anticipiamo il pezzo che uscirà sul Foglio Sportivo in edicola con il Foglio sabato 19 e domenica 20 gennaio 2019


   

Sport e propaganda si annusano, talvolta condividono la strada, sul filo che separa podio e tribuna politica. Non è una gran novità. Ma chi avrebbe scommesso di rivivere oggi un’atmosfera alla last three seconds di Usa-Urss 1972 – quei 3 secondi di basket che durarono 3 minuti e spiegarono al mondo cosa significasse la Guerra fredda? Sbagliava chi credeva che la pallacanestro non ci avrebbe più regalato storie alla Le Carré, con spie, golpe, tradimenti.

 

Il turco Enes Kanter non è né veloce né elastico. Una scultura di bronzo dal passo aggraziato. Dei New York Knicks è il centro, quello che un tempo si chiamava “pivot”: il più alto e di solito il più lento della squadra, fondamentale sotto canestro. Alto 211 centimetri per 111 chili, Kanter è un uomo grande ma non troppo per gli standard dell’Nba. La sua wingspan, il buffo termine che si può tradurre con “apertura alare” (la distanza tra l’estremo del braccio destro e quello sinistro) non è molto superiore alla sua altezza. Le braccia di Recep Tayyip Erdogan sono molto più lunghe: dopo il fallito colpo di stato del 2016, il presidente turco dà la caccia a chiunque gli si opponga, dovunque si trovi.

   

Fethullah Gülen, predicatore islamico esiliato in America e suo ex sodale, considerato la mente dietro al tentato putsch, è oggi il nemico pubblico numero uno. Il governo turco ha condannato più di 80.000 persone e ne ha arrestate oltre 200.000. Ora la mano di Erdogan sta attraversando i confini. A marzo ha orchestrato il rapimento di sei uomini in Kosovo, per trasferirli in Turchia con un jet privato. Nel 2017, il suo team di sicurezza – o di “teppisti”, come li ha descritti il Washington Post – ha picchiato i manifestanti fuori dall’ambasciata a Washington. Mercoledì scorso i procuratori turchi hanno emesso una red notice per Kanter. Cioè una richiesta all’Interpol di localizzare, arrestare ed estradare il “criminale”, colpevole di appartenere alla rete di Gülen. E quindi, per Ankara, di essere un pericoloso terrorista.

 

  

“L’unica cosa che terrorizzo è il canestro”, ha risposto il cestista su Twitter, luogo d’elezione delle sue sfuriate, insieme a infuocate conferenze stampa. Come quella del dicembre 2017 dove definì Erdogan “l’Hitler del nostro secolo” e che gli costò la revoca del passaporto. “Non sono un criminale o un estremista. Sono un essere umano che esprime opinioni”, ha spiegato al Time. Giovedì scorso Kanter non è andato a Londra dove si giocava la sfida tra Wizards e Knicks: temeva di essere ucciso dai sicari del regime o di venire fermato dall’Interpol.

  

Le cose prendono una luce forse diversa se dal Kanter “ribelle” si passa al Kanter “cestista”. “È un giocatore con enormi potenzialità, ma non tanta testa”, spiega al Foglio Stefano Salerno, giornalista di Sky Sport. “Litiga spesso in campo con gli avversari: o sei suo amico, o diventi un nemico da combattere”. Una cicatrice corre lungo il suo avambraccio destro, ricordo di quando se l’è fratturato colpendo una sedia nel bel mezzo di una partita, per la frustrazione. Fino all’inverno del 2015, quando il malcontento di Kanter ha cominciato a montare sul serio, non sembrava così sanguigno. Con un solo talento puro in squadra, Quin Snyder, l’allenatore degli Utah Jazz dove allora giocava, ha costruito il suo sistema attorno alla difesa. E “Kanter non sarebbe stato in grado di sorvegliare nemmeno un passaggio pedonale”, come ha scritto Brad Rock, editorialista sportivo del Deseret News. Così ha iniziato a restare troppo in panchina e mentre il suo impiego diminuiva, il suo atteggiamento diventava più isterico.

  

“Nell’ultimo periodo anche ai Knicks hanno deciso di metterlo in panchina”, aggiunge Salerno, “perché vogliono puntare sulla linea giovane. Allora lui entra a gara in corso, spesso chiude in doppia doppia (almeno 10 punti e 10 rimbalzi), difende poco, ma si tiene stretti i suoi punti. Che sono quelli che gli hanno permesso di firmare un contratto da 18,6 milioni di dollari in questa stagione”. Tutto questo non fa certo bene al carattere infiammabile di Kanter: nell’ultima partita di dicembre è stato espulso per essersi azzuffato con la star dei Milwaukee Bucks, Giannis Antetokounmpo. Nel 2018 ha montato una polemica con la Nike, accusata di non volergli dare un contratto “per paura del regime”. Secondo Salerno, “è lui a ingigantire i toni della discussione. Uno spunto interessante sono le parole di Turkoglu, ex giocatore Nba che adesso lavora per Erdogan: sostiene che Kanter faccia tutto questo baccano solo per nascondere le sue ‘mancanze’ in campo. Be’, diciamo che non è andato troppo lontano dalla verità”.

  

Se la polemica con Nike è fuffa, quella con Erdogan ha però dei risvolti agghiaccianti. Kanter ha perso la nazionalità turca e la famiglia: il padre l’ha dovuto disconoscere pubblicamente, come in un autodafé dei giorni nostri. Nonostante l’abiura del figlio, modello Stasi, è stato arrestato e condannato a 15 anni di galera. Il governo turco ha distrutto la scuola dei suoi fratelli e ha gettato il suo dentista e sua moglie in prigione per sette anni. Sul banco dell’accusa una foto del medico con Kanter sul balcone della clinica di Istanbul. Il regime ha arrestato un uomo accusato di essere gülenista. Anche lì, tra le altre prove, una foto di Kanter con il figlio dell'imputato. Il prossimo 30 aprile si saprà qual è il destino del comico Atalay Demirci che in uno scambio di messaggi privati su Twitter – il suo account è stato violato – chiedeva aiuto a Kanter per lasciare la Turchia. E questo non è un gioco.

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