Perché la Thailandia ha arrestato un calciatore del Bahrein rifugiato in Australia

Hakeem al-Araibi, ex calciatore della Nazionale è dal 27 novembre scorso in carcere a Bangkok. Il governo australiano, la federazione e la Fifa hanno chiesto che il calciatore sia rilasciato

Francesco Caremani

Hakeem al-Araibi, ex calciatore della Nazionale del Bahrein, che sta disputando la Coppa d’Asia negli Emirati Arabi Uniti, dal 27 novembre scorso è in carcere in Thailandia, a Bangkok. Rifugiato in Australia, dove aveva ottenuto lo status, si è recato nel Sud est asiatico per una vacanza con la moglie, ma quando è atterrato all’aeroporto di Suvarnabhumi è stato arrestato dall’Interpol con un mandato internazionale su richiesta del Paese d’origine e dal 2 dicembre la coppia è stata trasferita nel centro di detenzione immigrati di Suan Plu, in attesa di essere rimpatriati. Motivo che ha scatenato la reazione di associazioni, enti e federazioni, le quali hanno creato intorno a Hakeem al-Araibi un cordone mediatico per impedire che venga incarcerato e nuovamente torturato in Bahrein, come accaduto nel 2012.

 

Qui, durante la Primavera araba, gli sciiti avevano protestato contro la famiglia reale sunnita e Hakeem era stato arrestato, con l’accusa di avere partecipato alle sommosse, e torturato con forti percosse alle gambe e la minaccia di distruggergli la carriera. Nel 2014 è stato accusato di avere incendiato la stazione di polizia della capitale, Manama, e condannato a dieci anni di reclusione, nonostante avesse cercato di dimostrare che quel giorno era in Qatar a disputare una partita. Hakeem al-Araibi, inoltre, ha accusato direttamente Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa, membro della famiglia reale, attuale presidente Afc, vice presidente Fifa e in corsa nelle elezioni che hanno visto vincere Gianni Infantino, di essere direttamente coinvolto nella persecuzione degli atleti sciiti, che avevano manifestato contro i regnanti sunniti.

 

  

Arrivato in Australia Hakeem, che è un difensore, ha iniziato a giocare col Green Gully, poi col Goulburn Valley Suns, Preston Lions Football Club e dall’anno scorso col Pascoe Vale FC, che milita nella Victorian Premier League, uno dei gironi regionali della serie B australiana. Niente di che per un ex Nazionale ma molto per chi ha trovato la salvezza in un Paese straniero, continuando a fare ciò che preferisce e che gli da maggiore serenità. Una serenità svanita durante l’arresto in Thailandia, che ha fatto riaffiorare negli occhi di Hakeem al-Araibi il terrore delle torture e del carcere bahreiniti, dove rischia di tornare nella violazione del diritto internazionale, perché non si può rimpatriare un soggetto quando c’è il rischio concreto che i suoi diritti umani siano violati, ma la cosa più incredibile è che sia stato arrestato nonostante il suo status di rifugiato, il quale l’avrebbe dovuto mettere al riparo da un’azione del genere. Il governo australiano, la federazione, la lega e la Fifa hanno chiesto che il calciatore sia rilasciato e che possa tornare in Australia. La decisione era attesa per questa settimana, ma al momento Hakeem è ancora detenuto.

 

Il suo caso ricorda quello della ragazza saudita Rahaf Mohammed Mutlaq al-Qunun che è stata catturata sempre a Bangkok su richiesta del governo dell’Arabia Saudita, poi rilasciata ed estradata in Canada grazie all’intervento delle Nazioni Unite. Per al-Araibi è stato chiesto, tra gli altri, l’intervento della federazione asiatica, cui fanno riferimento sia la Thailandia che l’Australia, entrambe in corsa nell’attuale Coppa d’Asia, ma il presidente è sempre quel Salman Bin Ibrahim Al-Khalifa che Hakeem ha accusato di coinvolgimento nella violazione dei diritti umani e stiamo parlando di uno che per poco non diventava presidente del calcio mondiale.

 

Il più attivo in questa battaglia per i diritti umani, dopo i ritardi del governo australiano, è Craig Foster, ex calciatore, che ha vestito anche le maglie delle inglesi Portsmouth e Crystal Palace come mezzala, e con la Nazionale, della quale è stato capitano, ha vinto due coppe d’Oceania. È andato vicino a diventare presidente della Ffa (Football Federation Australia) e oggi conduce un programma televisivo per l’emittente statale Special Broadcasting Service, oltre a essere molto impegnato in programmi di recupero calcistici per rifugiati e nella crescita di giovani calciatori. Forte del fatto che l’Australia, pure calcisticamente, è un paese prospero grazie alla contaminazione tra le varie etnie che vi abitano, nonostante le politiche migratorie degli ultimi anni, ha iniziato a scrivere a tutti quelli che possono fare qualcosa, creando l’hashtag #savehakeem e organizzando conferenze stampa per sensibilizzare l’opinione pubblica australiana, thailandese e internazionale. Anche i componenti del Rohingya Football Club, squadra creata per fare conoscere al mondo la persecuzione di quel popolo, in particolare dopo la feroce repressione subita in Myanmar, dall’esilio malese hanno chiesto la liberazione di Hakeem al-Araibi, con la speranza che possa diventare un simbolo di libertà in un pianeta dove troppo spesso si chiede allo sport di essere volano nella lotta per i diritti civili, come se avesse il potere di contrastare quello dei governi nazionali.

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