I giocatori della Juve Stabia festeggiano dopo un gol durante la sfida con la Sicula Leonzio del 21 dicembre 2018 (foto LaPresse)

Quel doppio filo che lega la Juve Stabia a Torino

Leo Lombardi

Il primo rimanda al nome dello stadio dove giocano i campani, intitolato a Romeo Menti. Il secondo è che, come la Juventus, anche la squadra di Fabio Caserta domina nel girone C della C1

C'è un doppio filo che lega Castellammare di Stabia alla Torino del pallone. Il primo rimanda al nome dello stadio campano e affonda le radici nella storia. È uno dei tre intitolati a Romeo Menti, morto nella tragedia che, il 4 maggio 1949, ha cancellato il Grande Torino. Uno è come se non ci fosse, perché era lo storico impianto di Montichiari, in provincia di Brescia, ormai dismesso. Gli altri due sono invece operativi: quello di Vicenza, dedicato a chi in città era nato, e quello di Castellammare di Stabia, dedicato a chi in città aveva giocato. Accade durante la Seconda guerra mondiale quando, dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, Menti si trova nelle zone progressivamente occupate dagli Alleati. Il pallone rappresenta uno dei simboli dell'Italia che non si arrende, anche in Campania organizzano un campionato regionale 1944-45, con dodici squadre. Menti è la formidabile ala destra dello Stabia, che chiude al primo posto. Non si giocano tutte le partite, ma ne bastano 18 alla squadra di Castellammare per dimostrare la propria superiorità: 14 vittorie, tre pareggi e una sola sconfitta, con la Frattese. Menti si congeda con 13 gol e rientra a Firenze, prima di indossare nuovamente la maglia granata nel 1945 e conquistare quattro scudetti di fila, una serie interrotta solo dallo schianto di Superga. Agli stabiesi restano il ricordo di un campionato vinto, di cui reclamano il titolo onorifico (come accaduto per i Vigili del fuoco La Spezia, nel 1944), e uno stadio inaugurato nel 1985, registrato come San Marco e diventato Menti per volontà popolare.

 

Il secondo filo rimanda all'attualità e all'altra Torino, quella bianconera. Perché come la Juventus domina in serie A, altrettanto fa la Juve Stabia nel girone C della C1, che riprende il suo cammino in questo fine settimana. I campani sono l'unica altra squadra senza sconfitte nei campionati professionistici in Italia. In classifica hanno nove punti di vantaggio sul Catania e in difesa hanno fatto ancor meglio del gruppo di Massimiliano Allegri: nove reti incassate contro undici. Il tutto è avvenuto in maniera inaspettata, se si pensa che a giugno la società rischiava di sparire. Lo storico presidente Franco Manniello non riesce più ad andare avanti, è privo delle risorse per l'iscrizione, chiede aiuto. Come nella Seconda guerra mondiale, arriva da Oltremanica, dalla Financial Private Capital Limited, società commerciale di capitali. Manniello resta quale socio al 33 per cento, il nuovo presidente è Felice Ciccone, che conferma lo staff tecnico, incassa l'unica conseguenza negativa della precedente gestione (un punto di penalizzazione per la mancata fideiussione) e afferma di puntare in alto. In pochi lo ascoltano, viste le difficoltà che hanno appesantito la costruzione della squadra, e fanno male.

 

La Juve Stabia viene considerata una squadra destinata a lottare per non retrocedere, invece lascia subito il segno sul campionato, con sette vittorie consecutive che tramortiscono la concorrenza. Fabio Caserta assembla al meglio un gruppo formato per grandissima parte da gente arrivata in estate. Il suo gioco non ha uno schema di riferimento, ma risente delle influenze dei due allenatori che lo hanno caratterizzato: Antonio Conte per la fase difensiva e Pasquale Marino per quella offensiva (i campani hanno anche il migliore attacco del girone, con 42 gol). Un allenatore che ha dato le chiavi in mano a due ventenni come Alessandro Mastalli, figlio di Ennio, storico centrocampista di Bologna e Catania, e capitano della Primavera del Milan di Pippo Inzaghi, e Giacomo Calò, cresciuto nel vivaio della Sampdoria. Con loro anziani come Magnus Troest, Adriano Mezavilla e Roberto Vitiello a garantire esperienza, davanti i gol di Daniele Paponi, centravanti di tante promesse mai realizzate. Una squadra che, come dice Caserta, “non si scompone mai”. Anche ora che deve gestire una situazione che la riavvicina a quella serie B abbandonata nel 2014.

Di più su questi argomenti: