Rompere il ghiaccio a Minsk
Parlano Della Monica e Guarise, azzurri di pattinaggio artistico in gara agli Europei. Le prove infinite, la prima volta sui pattini e quell’intesa nata nel 2011
L’unione non fa la forza, non subito almeno. Prima crea la resistenza, l’armonia, la bellezza. Ne generano all’unisono Nicole Della Monica e Matteo Guarise, coppia di pattinaggio artistico impegnata agli Europei di Minsk, da lunedì 21 a domenica 27 gennaio (in tv su Eurosport e Rai Sport). Senza Carolina Kostner, sono loro le speranze dell’Italia. Hanno un’opportunità: salire sul podio, e se considerate che nella storia azzurra di questo sport è successo una volta soltanto (nel 2013) non è un’opportunità da poco. “Siamo terzi nel ranking, davanti a noi ci sono coppie fortissime e dietro di noi altre più che valide. Ma la possibilità di medaglia è concreta”. A mettere insieme sempre tutto come al solito sono le donne. Nicole è una di quelle che sanno tenere a bada le fragilità, si guadagnano il mondo con sacrificio, ma non dimenticano mai fascino e ironia. Cominciò a sette anni: il papà pattinava, un giorno la sua bimba entrò nel palazzetto della Malpensata, a Bergamo, e si mise i pattini ai piedi: non ha smesso più. Lui, Matteo, ha fatto il modello per Armani, ha posato per Benetton e Bikkembergs, qualche volta anche nudo, poi si è stancato. Ora va a pesca di trote e carpe regina. L’inventiva da buon romagnolo non gli è mai mancata. Dai quattordici anni in avanti si è guadagnato da vivere facendo le stagioni negli alberghi.
Esiste un dating del ghiaccio: su Ice Partner Search posti curriculum, foto, video, e trovi l’anima gemella artistico-sportiva
Già a quattro anni cercava il suo sport, ma era attratto dalla velocità. Vicino a casa c’era una pista di pattinaggio: lo portarono lì. “Se dietro casa ci fosse stata una pista di go-kart magari avrei fatto il pilota di Formula1”, dice al Foglio Sportivo. E’ stato più volte campione del mondo sulle rotelle, senza sapere che la sua vera vocazione lo stava aspettando sul ghiaccio.
A forza di cercare le loro strade, Nicole e Matteo si sono incontrati. Dice lei che il filo invisibile tra loro “si è materializzato sin dal primo giorno in cui abbiamo provato a pattinare insieme. Si è subito creata una grandissima intesa tra di noi, una grande complicità, la voglia di aiutarci reciprocamente e di capirci. Siamo stati capaci anche di aspettarci, quando era necessario farlo”. Infortuni, momenti infelici, annate storte: la sintonia va sempre oltre. Infatti da sette anni fanno coppia fissa (ma solo in pista). Fino a qualche anno fa condividevano lo stesso appartamento a Sesto San Giovanni per dividere le spese, risolvere i problemi di logistica, cose così. Ne hanno condiviso un altro in Russia, dove sono stati per arricchire il loro bagaglio per tutto un lungo, lunghissimo anno. Lei cucinava, dolci soprattutto (“La specialità: una torta al cioccolato senza farina, tipo brownie”), e lui assaggiava. Una volta piangeva uno, una volta piangeva l’altro. Una volta rideva uno, e una volta l’altro. “E’ così che il nostro rapporto è diventato solido e forte, credo che si veda anche nel nostro modo di pattinare. Cerchiamo di trasmettere emozioni forti”.
Nicole pattinava con un altro partner, Yannick Kocon, poi qualcosa si è rotto e nel 2010 le loro strade si sono divise. Sembrava destinata a dover lasciare tutto, poi è arrivato Matteo. Lei era ferma da un anno, aveva male a un ginocchio, ma pattinare le mancava. Il 26 novembre 2011 fecero una prova, non è servito altro. Tre settimane dopo erano in pista per gli italiani, pochi mesi dopo presero parte ai Mondiali. Quella della sintonia è una strana questione: la puoi perfezionare, forse migliorare, ma generarla è impossibile. C’è o non c’è. Sembra una magia. Esiste persino un dating del ghiaccio: su “Ice Partner Search” posti curriculum, foto e video, e trovi l’anima gemella in senso artistico-sportivo. Del resto, l’amore è necessario per volteggiare su una lama di otto millimetri. E poi serve la disciplina, che è quella che insegue Matteo in ogni suo mestiere. Anche a tavola: tutte le mattine mangia gli stessi biscotti, rigorosamente dieci. Con la moda guadagnava molto, viaggiava tanto, conosceva gente. Mancava qualcosa per essere completo. Gli fecero notare che a Milano abitava proprio di fianco al PalaGhiaccio. Andò a provare, come aveva fatto a Rimini quando aveva quattro anni. E sentì un rumore dentro, da qualche parte.
La sintonia la si avverte soltanto dopo, finito l’esercizio, quando i due minuti di uno short program o i quattro del programma lungo si tramutano in ordine, simmetria. equilibrio. E non è un caso che in giro per l’Europa Nicole e Matteo siano tra gli atleti più apprezzati per lo stile leggero, che in pochissimi hanno. Ci lavorano ogni giorno, e la preparazione è durissima. “In gara la fatica fisica non la senti, quando ti alleni bene la vera fatica è quella mentale – dice Matteo – mi hanno paragonato a un calciatore che deve battere un rigore e ha solo quella chance. Il pattinaggio è questo: hai soltanto un tentativo, e con quello magari ti giochi un titolo internazionale”. E’ un’alchimia rara, il segreto sta lì. “E’ una questione di pelle, il partner giusto lo senti”. Spesso Nicole e Matteo stanno all’IceLab, a Bergamo, una delle strutture all’avanguardia in fatto di pattinaggio. Per loro è come una grande casa, un posto dove ricercare quotidianamente il meglio. Lavorano con una coreografa e un ballerino, alla ricerca delle linee più precise, pulite, gentili. “In estate prepariamo i programmi e da settembre in poi comincia la stagione. Facciamo due sessioni di allenamento ogni giorno per nove mesi. Ogni elemento, ogni movimento lo proviamo e lo riproviamo, continuamente, serve a creare una sorta di automatismo, finché non riteniamo di aver raggiunto un buon livello. In un giorno puoi lavorare a venti, venticinque secondi di coreografia, non di più”, spiega Matteo.
In estate prepariamo i programmi, da settembre comincia la stagione. Due sessioni di allenamento ogni giorno per 9 mesi
Non si parla mai di perfezione, “quella non esiste: dovresti portare avanti un’opera per vent’anni, allora sì che probabilmente raggiungeresti la perfezione”. Ed è davvero impossibile quando i programmi cambiano ogni stagione. Alle Olimpiadi di Pyeongchang portarono la versione del Magnificat cantata da Mina. Per il libero, invece, scelsero The tree of life di Roberto Cacciapaglia, che era stata la colonna sonora dell’Expo. Per questa stagione hanno scelto di rischiare. “Per il programma breve una canzone blues, Never tear us apart. Due minuti e cinquanta. Ci sono un salto parallelo, un salto lanciato, una serie di passi, una trottola, un twist e una spirale della morte. Volevamo qualcosa di particolare, volevamo affacciarci su altri stili. La scelta è venuta un po’ per caso. Ci piaceva, ma la versione che avevamo sentito non rendeva, la voce non era abbastanza potente. Poi abbiamo scoperto la versione di Joe Cocker: quella sì che funzionava”. La musica non è il sottofondo dell’esercizio, è un liquido nel quale Matteo e Nicole si muovono leggeri e creano arte. Galleggiano sui pattini. “Sceglierla è molto difficile, passa da un ascolto di ore e ore, perché condiziona il tuo stile per tutta la stagione. Se sbagli la musica, tutto il resto rischia di svalutarsi. Ma quando la trovi, vai e l’ascolti sul ghiaccio, senza fare granché”. Per l’altro programma è stato il compositore Maxime Rodriguez a ritoccare la musica di Tristano e Isotta. Anzi, a renderla potente. “Lo ha fatto guardando un nostro video, ogni nostro gesto è accentuato dal suono, ogni momento è stato rafforzato, e del risultato siamo molto soddisfatti”. Disciplina, ripetizione, ossessione. Leggerezza, poesia, armonia. Mescolare il tutto fino a ottenere la meraviglia.