La tennista giapponese Naomi Osaka (Foto LaPresse)

Il tennis stava aspettando Osaka

Giulia Medina

Finalista in Australia, la ventunenne giapponese è la faccia nuova di uno sport che cambia regina

Indossa orecchini di perla e dà l’impressione di vivere su una nuvola di tennis. Ogni volta che ride non si capisce mai ciò che pensa realmente: è giovane e ingenua oppure è un’adorabile ruffiana, la più furba di tutte? Non ha importanza: Naomi Osaka ha ventuno anni e ha cominciato a splendere, a ruggire. Fino a pochi mesi fa attraversava il campo da tennis con gli occhi bassi, in silenzio, la testa sempre pronta all’inchino. Non solo in segno di rispetto per la tradizione, le proprie origini e il Giappone, ma anche per riconoscenza e devozione. Il tennis femminile la stava aspettando. L’anno scorso la tennista giapponese è arrivata a Melbourne per giocare il primo torneo del Grande Slam della stagione da numero 68 del mondo. “Una giovane promessa”, commentarono gli esperti. Peccato che tirasse troppo forte e troppo spesso fuori: “Se riuscirà a essere più paziente, vincerà qualcosa di grande”. Ha perso agli ottavi di finale contro la numero uno del mondo, Simona Halep.

 

Due mesi dopo a Indian Wells, senza dire una parola per non disturbare, con lo sguardo come al solito fisso sul cemento, la giapponese ha ottenuto la sua impacciata rivincita. Dopo aver battuto Maria Sharapova e Karolina Pliskova ha vinto il primo Masters della sua carriera, in finale contro la Halep con un inequivocabile 6-3 6-0. Non le è bastato. Al primo turno del torneo di Miami ha battuto Serena Williams, appena rientrata nel circuito dopo la maternità e le ha chiesto scusa. In conferenza stampa si è concessa un sorriso e un sospiro di sollievo. Ha ammesso, sempre dalla sua nuvola: “Se avessi visto la partita a casa davanti alla tv avrei certamente fatto il tifo per la mia avversaria. È tutto merito suo se adesso sono qui. Ho cominciato a giocare perché volevo essere uguale a lei. Cosa avrei dovuto fare oggi? L’unico modo che conoscevo per dimostrarle gratitudine e onorare la sua carriera era giocare come gioca lei, e quindi vincere”. A Flushing Meadows, nell’ultimo Slam dell’anno, Osaka dimostra alla tennista statunitense tutta la sua riconoscenza sconfiggendola in finale un’altra volta e chiedendole un’altra volta scusa. 

 

Dopo aver vinto 6-2 6-4 e aver assistito immobile e mortificata alla rabbia di Serena contro l’arbitro dell’incontro, la giapponese sale sul palco per la premiazione come se stesse andando sul patibolo. Davanti al pubblico di New York Serena ride, lei non riesce a smettere di piangere. Osaka applaude la avversaria, si vergogna come una ladra, non vede l’ora di scendere, di nascondersi il più possibile lontano dalla scena, sospira, alza gli occhi al cielo e dice: “Mi dispiace. So che speravate in un altro risultato. Grazie per avere assistito a questa partita”. E poi, rivolgendosi alla sua avversaria, sussurra mordendosi le labbra: “Scusami. È sempre un onore giocare contro di te. Grazie”. Vincendo quella partita, Naomi Osaka è diventata la prima tennista giapponese della storia a conquistare un torneo del Grande Slam.

 

Da piccola a Naomi non piaceva molto passare le giornate a colpire una pallina, però viveva con la racchetta in mano: “Il mio desiderio più grande era quello di riuscire a battere mia sorella”, ha raccontato in un’intervista al New York Times. Perdeva ogni giorno e ogni giorno 6-0 6-0. “Non importava: tutte le volte che uscivo dal campo la avvisavo: ‘Domani vinco io’. Ci sono voluti dodici anni prima di riuscire a vincere una partita contro di lei”. La sfida tra sorelle è andata avanti a senso unico per tutto quel tempo. Nel frattempo Naomi e la sua famiglia si sono trasferiti in Florida, la bambina ha cominciato a giocare a Boca Raton, nell’accademia di Chris Evert, ha ottenuto la cittadinanza statunitense e nel 2016 è stata nominata esordiente dell’anno. Il 21 gennaio, l’edizione asiatica del Time, dedicandole una copertina, l’ha soprannominata “L’erede”. Lei ha cominciato la stagione a testa alta. In campo ha imparato a far sentire la propria voce e non soltanto i suoi colpi.

 

Si inchina sempre e non chiede più scusa. Perché dovrebbe? Nella semifinale contro Karolina Pliskova, dopo tre set e più di due ore di partita, sul proprio match point Naomi Osaka prima ha sospirato perché non ne poteva più di stare dentro al campo, subito dopo ha chiuso gli occhi e ha tirato il quindicesimo ace della partita. Poi ha stretto i pugni e si è messa a ridere e ad esultare. Ha capito finalmente che si merita ciò che sta vivendo. Da lunedì il tennis mondiale avrà una nuova numero uno: o lei oppure la sua avversaria nella finale degli Australian Open, la tennista ceca due volte vincitrice di Wimbledon Petra Kvitova. Vincendo, Osaka diventerebbe la prima giapponese della storia a conquistare la prima posizione nella classifica mondiale. Un traguardo che la ventunenne ha accolto come al solito alzando le spalle. A chi le ha chiesto come vive la sua improvvisa notorietà in Giappone, lei ha risposto: “Bè, in realtà non credo che alla gente interessi molto chi sono e che cosa faccio”.

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