La solitudine della Juventus

In serie A tutto appare deciso dopo appena ventuno giornate. Merito dei bianconeri, vincitori in rimonta contro la Lazio, demerito soprattutto di Napoli, Inter, Milan e Roma

Leo Lombardi

La Juventus si guarda intorno e si scopre sola. Almeno in Italia. È imbarazzante la nostra serie A, dove tutto appare deciso dopo appena ventuno giornate, situazione che obbligherà la stampa specializzata a inventarsi qualcosa per tenere desta l'attenzione. Ma giovedì finisce anche il mercato invernale e in Champions si dovrà parlare ancora dei bianconeri, confidando in un colpo di reni della Roma. L'Europa League, poi, chi se la fila. Un monopolio che dura da sette stagioni, in campionato, e che quest'anno appare ancora più prepotente. Se in passato c'erano stati il Milan, la Roma e il Napoli a tenere desta qualche annata, oggi il panorama è desolante.

 

Merito di una Juventus che ha saputo pianificare i passi necessari per ritornare la numero uno, dopo Calciopoli. Demerito di una concorrenza incapace di anticipare i piani altrui, immaginando che la ricostruzione bianconera sarebbe stata più lunga del previsto (o addirittura impossibile). Eppure quest'estate, nonostante il colpo Cristiano Ronaldo, si credeva a una Juventus forte ma non imbattibile. Il campo ha detto esattamente il contrario. Ecco perché, in ordine rigorosamente di classifica.

 

Si comincia dal Napoli, secondo a meno 11. Aurelio De Laurentiis era convinto di aver risolto i problemi cambiando un allenatore mai amato come Maurizio Sarri con Carlo Ancelotti. Risultato? In campionato i punti sono sei in meno rispetto all'anno scorso e in Champions League è arrivata un'altra eliminazione nella fase a gironi. De Laurentiis ultimamente se l'è presa con il Frosinone che, a suo dire, non dovrebbe stare in serie A. Là hanno almeno costruito uno stadio di proprietà, argomento che a Napoli è l'ennesima battaglia di facciata di un club che preferisce distogliere l'attenzione quando le cose non girano. L'ossatura della squadra, poi, è ancora in gran parte quella dei tempi di Rafa Benitez, se non più anziana (Marek Hamsik e Lorenzo Insigne). Perché investire se puoi trovare una scusa?

 

L'Inter, dopo la sconfitta con il Torino, è sprofondata a -19. Una partita che ha dimostrato i limiti tecnici e caratteriali della squadra, incapace di impensierire una sola volta i granata. Luciano Spalletti sarà piacevole da ascoltare ma da quando allena (1995) in Italia ha vinto due Coppe Italia e una Supercoppa. Qualcosa vorrà ben dire. La squadra, come capita da troppo tempo, è una polveriera, oggi alle prese con le voglie di fuga di Ivan Perisic, con una telenovela (è in scena Wanda Nara) legata a Mauro Icardi (non a caso a secco da cinque giornate), con molti interpreti inadeguati (Marcelo Brozovic inspiegabilmente - o spiegabilmente - idolo dei tifosi), con un terzino sinistro che è un problema dai tempi di Roberto Carlos. E il colpo estivo Radja Nainggolan, anche domenica è partito dalla panchina, per rivelarsi superfluo in campo. Beppe Marotta è stato preso per dare una svolta, finora ha funzionato solo per punire il belga. E il suo mercato sarà quello estivo.

 

Anche Ivan Gazidis è arrivato da troppo poco tempo al Milan per giudicarne il lavoro. La prima sensazione è quella di una visione diversa rispetto a Leonardo e a Paolo Maldini, i due che hanno costruito la squadra. Il nuovo ad punta sui giovani, la proprietà ha soldi da spendere, come si è visto per l'acquisto di Krzysztof Piatek, anche se 35 milioni paiono eccessivi. Certo, si voleva dare un segnale dopo il divorzio dal recalcitrante Gonzalo Higuain, ma in casa c'era già Patrick Cutrone, cui il polacco toglierà spazi: magari sarebbe stato meglio investire su un difensore centrale. Detto questo, Rino Gattuso sta facendo pure troppo, tra infortuni a catena e una nuova proprietà che deve confrontarsi con le regole del fair play finanziario. E quando ha avuto di fronte la Juventus in Supercoppa, almeno se l'è giocata.

 

La Roma chiude il quartetto delle mancate avversarie della Juventus, relegata a 25 punti di distanza. La rivoluzione di Monchi ha terremotato le certezze acquisite nella passata stagione. Puntare sui giovani è bello ma rischioso, in una piazza umorale come quella giallorossa. Una scommessa che deve essere sostenuta con forza, perché a partite esaltanti come quella con il Torino, possono fare seguito rimonte inspiegabili, come il 3-3 dell'Atalanta capace di recuperare tre reti. E bisogna essere bravi a far capire che il talento, quando c'è (e nella Roma c'è) va coltivato. Con la speranza di porre le fondamenta per mettere un domani la Juventus in difficoltà.

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