Il calciatore che non vuole tornare in Bahrein

L'incredibile storia di Hakeem al-Araibi, dissidente rifugiato in Australia e arrestato in Thailandia. Tra estradizioni e interessi politici

Giulia Pompili

Dopo 70 giorni di prigionia, è stato rilasciato il calciatore bahrenita, ma rifugiato in Australia, Hakeem al-Araibi. Lo sportivo era stato arrestato a Bangkok lo scorso 27 novembre. Questa sera ritornerà in Australia. Le autorità thailandesi infatti hanno rigettato la richiesta di estradizione avanzata dal governo del Bahrein.

  


 

Hakeem al-Araibi è un calciatore professionista, gioca nel Pascoe Vale SC, una squadra della Victorian Premier League di Melbourne, Australia. E' anche un dissidente politico del Bahrein. Fino al 2014 ha giocato nella nazionale del regno. Nel 2012 era stato arrestato a causa dell'attivismo del fratello e poi rilasciato poco dopo – durante quella detenzione, sarebbe stato torturato. Due anni dopo è stato arrestato di nuovo: le autorità del Bahrein lo accusavano di aver partecipato a una protesta (una delle tante che c'erano in quegli anni) ma lui aveva dimostrato che quel giorno era a giocare una partita importante. Alla fine del 2014 era riuscito a scappare, e a chiedere asilo in Australia. Nel frattempo, il Bahrein lo aveva condannato a dieci anni.

  

Il 27 novembre scorso Hakeem è arrivato all'aeroporto di Bangkok per la luna di miele con sua moglie, ed è stato arrestato. Da allora si trova in stato di fermo in Thailandia in attesa della richiesta di estradizione da parte del Bahrein. Un fatto strano, visto che per i rifugiati politici non dovrebbero applicarsi i mandati di cattura internazionali dell'Interpol. Human Rights Watch ha spiegato per bene la vicenda qui e da poco si è espressa anche la Fifa, che ha fatto un appello per la sua liberazione.

   

Questi episodi negli aeroporti sono sempre più frequenti, soprattutto a Bangkok. A dicembre la diciottenne saudita Rahaf Mohammed Alqunun che all'inizio di gennaio è scappata dalla famiglia che si trovava in vacanza in Kuwait, ha preso un volo per Bangkok, si è chiusa nella stanza di un hotel dell'aeroporto e ha chiesto asilo. Dopo 48 ore l'ufficio immigrazione thailandese l'ha lasciata andare, scortata dall'agenzia per i rifugiati dell'Onu. Il 13 gennaio Rahaf è atterrata in Canada, il paese che per primo le ha offerto asilo. “Sono tra le poche fortunate”, ha detto Rahaf nel suo primo comunicato dopo l'arrivo in Canada. “Sentivo di non avere nulla da perdere. Volevo raccontare alla gente la mia storia e che cosa succede alle donne saudite”, ha detto in una bella intervista al The Star.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.