Gervinho ha ripreso a correre (e a segnare)
L'attaccante ivoriano sembrava ormai perso nel dimenticatoio del calcio. Ora a Parma sta dimostrando che a 32 anni può ancora essere determinante
Contro il Cagliari, il 22 settembre, aveva segnato un gol dei suoi. Di quelli che entrano nella memoria. Il Parma ospita il Cagliari, Gervinho prende palla poco oltre la propria area, si lascia alle spalle tre avversari, attraversando il terreno di gioco da una parte all'altra, e conclude imparabilmente. Una rete che, ai più anziani, ha ricordato il coast to coast di George Weah nel 1996 contro il Verona, con la differenza che l'attaccante del Milan era partito da dentro la propria area. Ma quella di Gervinho è stata un'eccezione, a livello personale. Perché oggi l'ivoriano non è più l'attaccante che esaltava, e al tempo stesso, deprimeva tifosi e tecnici alternando giocate da urlo a errori da dilettante. Le corse a perdifiato ci sono ancora, ma meno di un tempo. Lo ha raccontato egli stesso, commentando il ritorno inaspettato in Italia, per andare nel neopromosso Parma: “Sono cambiato e sono maturato, non commetto più certi errori. Anche perché D'Aversa, il mio tecnico, non mi chiede più la fase difensiva e non arrivo più stanco sottoporta”.
Un cambiamento di cui si è accorta la Juventus, all'andata come al ritorno, visto che Gervinho ha segnato in entrambe le occasioni. A Parma lo aveva fatto contro la collaudatissima coppia Bonucci-Chiellini, sabato si è divertito contro l'inedito duo Rugani-Caceres: prima un colpo di tacco beffardo, quindi una palla arpionata in area e scaraventata con forza tale da piegare le mani di Mattia Perin, per la rimonta del 3-3 conclusivo. Il tutto nel quarto d'ora finale quando, in altri tempi, l'ivoriano non avrebbe avuto identica lucidità in fase di conclusione. Vedi gli anni all'Arsenal e alla Roma, vette di carriera.
Gervais Yao Kouassi diventa Gervinho nell'Academy dell'Asec Mimosas, con 26 titoli il club più vincente della Costa d'Avorio. Il soprannome glielo impone un tecnico brasiliano, uno dei tanti di una scuola dove si gioca a piedi nudi: ti danno un paio di scarpe solo se superi tre test tecnici, uno all'anno. Ma non è un problema per Gervinho, abituato a crescere in fretta in un paese dove la violenza è per lungo tempo pane quotidiano. Lui vive con padre, madre e undici tra fratelli e sorelle in tre stanze ad Abobo, uno dei quartieri più complicati della capitale ad Abidjan. Il primo contatto con l'Europa a Beveren, dove gli ivoriani sono importati in massa. Nel 2004 il club è finalista della Coppa di Belgio con una squadra che ne schiera dieci tra i titolari. Di lui si accorgono in Francia, prima due stagioni a Le Mans e poi, nel 2009, il trasferimento al Lille, dove in panchina c'è Rudi Garcia: insieme centrano l'accoppiata titolo-Coppa di Francia nel 2011, anno in cui l'attaccante va all'Arsenal.
In Premier League il debutto è da ricordare: prende a schiaffi Joey Barton, uno dei giocatori più violenti dentro e fuori il campo, l'espulsione ne è la conseguenza. Come una conseguenza sono i gol che sbaglia, dopo il tanto correre che gli impone Arséne Wenger. Gervinho dura due anni, a Roma lo chiama il maestro Garcia. In giallorosso diventa subito Er tendina per la capigliatura, fluente sulle spalle e contenuta sul capo da una enorme fascia: solo in un secondo tempo si rivela necessaria per nascondere un'incipiente calvizie. Da noi Gervinho scopre che si vive il calcio sette giorni su sette, che - a differenza dell'Inghilterra - sono peggio i tifosi dei giornalisti e che si fa in fretta a passare dall'altare alle polveri. Il primo anno è straordinario, per la squadra (che arriva seconda) e per lui, che gioca, segna e fa sognare. Quello che segue è un mesto declinare, tra presenze rarefatte (c'è anche una Coppa d'Africa giocata e vinta in casa nel 2015 a distrarre) ed errori superiori ai gol.
Una situazione che conduce in fretta alla dimenticanza. Così nessuno quasi si accorgerebbe dell'addio nel gennaio 2016, se non ci fossero i 18 milioni versati dall'Hebei per averlo. Oggi Gervinho afferma di aver accettato l'offerta cinese perché Dio lo ispira e, in quei giorni, “mi diceva di andare in Cina”. Oltre al divino, il resto lo fanno gli otto milioni a stagione e il bonus da 150.000 euro a gol che, per fortuna (economica) e sfortuna (sportiva) dell'Hebei, sono appena quattro. Per questo, quando il Parma mette sotto contratto Gervinho in estate, nessuno lo ritiene un rinforzo adeguato. Errore grossolano perché l'ivoriano, una volta ritrovata la condizione, mette in evidenza una vena realizzativa come ai tempi belli del Lille. Con la doppietta alla Juventus siamo arrivati a 8 gol in sedici partite. Un affare per due: per il Parma, che lo ha preso a parametro zero, e per Gervinho che, pur avendo ricevuto altre offerte, più remunerative del milione attuale di stipendio, ha scelto l'Emilia per giocare con continuità, in vista del Mondiale 2022 in Qatar. A quasi 32 anni non è mai troppo tardi.