Timothy Weah e l'ultima generazione dei "figli di"
Il figlio di Re George ha iniziato a segnare con il Celtic Glasgow (è in prestito dal Psg). Da Federico Chiesa a Enzo Zidane, passando da Ianis Hagi a Justin Kluivert, chi sono e cosa fanno gli eredi dei campioni anni Novanta
È arrivato da appena un mese in un club prestigioso come il Celtic, ma Timothy Weah si è già messo nelle condizioni migliori per far parlare di sé, non bastasse il cognome pesante che si tiene sulle spalle. Pesante come quello – lo avrete capito – di papà George, uno dei Pallone d’Oro più iconici degli anni Novanta, oggi pure presidente della sua Liberia. E che sicuramente ieri avrà gioito al secondo gol in quattro gare del figlio con i biancoverdi di Glasgow, là dove è finito in prestito dal Paris Saint Germain (club dove già giocò il padre, per non farsi mancare coincidenze) per crescere e provare a diventare campione. Tim ha tutto del calciatore contemporaneo: la fama che lo accompagna sin da quando è adolescente, l’interesse – forse precoce – delle grandi squadre e ben quattro nazionalità tra cui scegliere il suo futuro internazionale. Da un pezzo, ormai, ha deciso che vestirà per sempre la maglia degli States (Paese in cui è nato e cresciuto), scartando la Francia (suo padre aveva anche nazionalità francese), la Liberia e pure la Giamaica (terra natale della madre Clar).
Se Tim diventerà bravo o meno come il padre George, sarà il campo a dirlo. Intanto il tifoso sogna e si fa assalire da un’ondata di nostalgia, al pensiero di quell’epoca bella del pallone nostrano, gli anni Novanta, e dei suoi figli che oggi popolano i nostri campionati. Giocatori con gli occhi della stampa addosso prima ancora di quelli delle ragazzine, che crescono nella speranza – loro e nostra – di raggiungere la dimensione dei padri. Qualcuno ce l’ha fatta alla grande: la stampa italiana si arrovella ormai da un paio di stagioni sulla possibilità concreta che Federico Chiesa sia meglio di papà Enrico, o su quanto manchi a Giovanni Simeone per diventare ruspante come il Cholo.
Qualcun altro, invece, boccheggia. Per rimanere in casa Fiorentina, fino ad un anno c’era pure Ianis Hagi, ma a brillare era solo il cognome. Con appena due presenze in viola, il figlio del Maradona dei Carpazi è tornato in Romania, alla corte del padre, con l’impressione che difficilmente lo vedremo imitare fino in fondo i suoi passi. Non poca fatica sta facendo anche Justin Kluivert, eccelso nei suoi anni all’Ajax (come il padre Patrick), in difficoltà nella sua prima esperienza italiana (sempre come il padre Patrick). Certo, pesa la stagione altalenante della Roma, ma pure i 17 milioni sborsati dai capitolini per lui non sono piume sul carattere, tutto da plasmare, di un ventenne.
In casa Maldini sono riusciti, invece, nell’impresa di arrivare a ben tre generazioni di calciatori: da Cesare a Paolo, giù fino a Christian, che però sembra abbia un po’ disperso il carattere da fuoriclasse dei suoi predecessori – ora gioca alla Pro Piacenza, in Serie C, dopo essere transitato anche dal campionato maltese. Una sorte simile è capitata a Enzo Zidane, figlio del grande Zizou: i video dei suoi gol popolavano le pagine Facebook 3-4 anni fa, quando era parte della famiglia Real Madrid, mentre ora è un po’ sparito dai radar, in prestito dal Losanna al Rayo Mayadahonda, squadra di Segunda Division spagnola. Ma la serie potrebbe continuare: anni fa l’Inter aveva messo gli occhi su Tom Ince sperando fosse bravo come papà Paul, sebbene il più giovane non abbia mai giocato in Nazionale. Tra i portieri, invece, si attende ancora l’esplosione del 22enne Jonathan Klinsmann, figlio della celebre “Pantegana bionda”: gioca all’Hertha Berlino, e pure lui ha scelto di rappresentare la nazionale americana.
Il padre è una delle poche cose nella vita che non ti puoi scegliere, mica puoi fargliene una colpa a questi ragazzi di avere quel cognome tanto pesante addosso. Semmai sta ai giornali non gridare al fenomeno alla prima mezza rovesciata che si vede in un match giovanile. Pensare che una stella come Piatek fino a pochi mesi fa era quasi sconosciuto ai nostri media la dice lunga sull’oculatezza con cui facciamo le classifiche delle promesse calcistiche dei prossimi anni. Se poi Tim Weah sarà tanto bravo da eguagliare il padre, allora sarà un piacere vederlo giocare. E magari sentirgli dire: "Tutto bene?".