Le vite diverse di Guardiola e Sarri
Lo spagnolo è un predestinato, il suo rivale è un ex bancario che ha sbarcato il lunario. Oggi si affrontano in Premier League
Se è vero che il gioco arriva prima dei giocatori (ma non è vero!), allora Guardiola e Sarri sono già lì, sul campo, davanti alle rispettive panchine prima della partita. Perché loro sono il gioco e tutto il resto è un via vai di persone in calzoncini corti, i cosiddetti calciatori. Identici nell’immaginare l’azione, precaria come un disegno sull’acqua, eterna come un graffito nella grotta, i due sono diversi nell’apparenza ma anche nella storia. Guardiola si estende oltre la sua persona, ha un fascino coinvolgente, una specie di aura che ti piglia anche se non vuoi. Ha modi eleganti, le mani posate in tasca come un’anfora, per nulla strafottenti, un sorriso vero che luccica negli occhi. Parla soffuso, la voce è un roco leggero, una specie di graffio sulle parole che si avvicendano fluide, pulite, esatte e puntuali. Sarri si conclude negli occhiali. Sembra una distanza breve tra la faccia e le lenti, tanto che per guardare oltre, abbassa la testa e spia il mondo. Lo vede piccolo, una fessura, non sembra interessato all’orizzonte, a te che sei di fronte, all’oltre quella porta, al domani. Non vive l’altro, nemmeno lo considera. L’altro non c’è, come infatti non esiste l’altra squadra. Sarri studia la geometria del campo, lo suddivide in figure, ci mette dentro il pallone, formula qualche possibile variabile, poi teorizza e infine scrive sul piccolo quaderno a quadretti.
Si auto compiace solo quando le equazioni tornano, come un matematico perseguitato dall’ordine dei numeri. Senza la malizia, la cattiveria, la scioccheria del presuntuoso, si dimentica di vivere al di fuori di un gioco (torniamo lì) che rappresenta per lui il nirvana, l’angolo di paradiso, l’Altissimo. Vince se deve vincere, perde se qualcosa va storto (e qualcosa va sempre storto nel mondo degli umani). Difficilmente tradisce sotto il profilo algebrico. Uno più uno fa due, due più due quattro e così via. L’esattezza è la sua cifra stilistica. Ma in tutto questo c’è un però. Uno così, che lavorava in banca sognando California, deve possedere dell’altro. Qualcosa di vicino alla mistica, al fideismo assoluto. Perché altrimenti non si spiega un’ascesa dal basso come la sua. Bancario che sbarca il lunario e finisce sulla luna. Com’è possibile tutto ciò? La risposta risiede nella incrollabile fiducia del nostro uomo nella vita. La vita come essenza e non come consumo dell’esistenza. La vita che genera possibilità solo quando credi in te stesso, quando ami il respiro a tal punto da dargli pure una consistenza, un fumo, nel caso del tabagista allenatore. Guardiola si porta sulle spalle una storia diversa, da predestinato. E’ “ricco di famiglia”, verrebbe da dire. I suoi sogni li ha indotti una ninna nanna buona, cantata da una voce familiare. Tutto era già scritto per lui, chiaro, come quell’orizzonte che Sarri non vedrà mai, compreso com’è tra il sé e gli occhiali, tra l’ideale del gioco e ciò che il gioco è.
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