I mister che giocano come parlano
Di Francesco è lineare, Spalletti un triangolo, Allegri indecifrabile, Ancelotti un cerchio, Gattuso è un silenzio
Curiosamente gli allenatori parlano in un modo e giocano alla stessa maniera. Come se la forma mentis, per dirla alla latina, desse organizzazione al calcio propugnato, senza alcuna conseguenza logica, né storica, solo psicologica semmai. Dando per scontato (cosa che forse non è) che esista una corrispondenza tra il pensare e l’esprimersi. Servono esempi precisi. Di Francesco è una linea. I suoi ragionamenti sono perfetti come una linea. Nessuna sbavatura, incertezza. La punteggiatura, il lessico, la scioltezza di esposizione. Di Francesco è un oratore lineare. Come gioca la Roma? Tre linee in campo che si muovono sincronizzate. La difesa, il centrocampo, l’attacco. Un calcio gotico il suo, essenziale, senza troppi giri, serpentine. I ballerini di Di Francesco sono come un plotone di file. Spalletti è un triangolo. Parla a te ma intanto pensa all’altro. E l’altro chi è? Non è facile saperlo, ma c’è. E quindi si è in tre: lui, l’interlocutore e l’altro. Tre spigoli dello stesso triangolo. A guardare l’Inter di oggi, ci sono più triangoli in campo. Uno, con due mezzali e il trequartista Nainggolan, l’altro con le due ali e il vertice Icardi (che poi Icardi da vertice si sia trasformato in vortice è un altro paio di maniche). Allegri è un livornese, e come tale è indecifrabile. È un po’ quadrato, un po’ tondo, un po’ storto e un po’ dritto. È una beffa, come quella famosa dei falsi Modigliani. Allegri sembra una burla, e infatti quando parla non si capisce se ride o è serio. Non c’è confine tra lo scherzo e il rimprovero. E così gioca la Juve, senza un copione preciso. Mandzukic ala di qualche tempo fa, sembrava un abbattuta e invece era un dettame, Ronaldo va dove lo porta lo spazio, Dybala è un apostolo sempre pronto a tradire, un po’ centrattacco, un po’ rifinitore, un po’ in panchina quando non si sa come. Ancelotti è un cerchio, di faccia e di parole. Apre e chiude il discorso senza fare una grinza, che l’unica che si affaccia è quella sopra il ciglio. Perfettamente in linea con il suo calcio composto di buon senso, e quindi logico, assoluto, proprio come un tondo. Dentro quel cerchio riempie l’atmosfera di belle sensazioni, lasciando i veleni fuori dalla circonferenza. Difficile capire come possa riuscirci, questione di feeling con la vita e con l’amore, che il buon Carletto ha sempre in testa, nonostante l’età inacerbisca il cuore. Mazzarri nella chiacchiera si perde, per poi ritrovarsi a sorridere quando lo sdrammatizzi, lo interrompi, ne blocchi il flusso vagamente parossistico. E infatti il calcio del suo Torino è un melodramma avvincente dal risvolto sempre un po’ burlesco. Gattuso è un silenzio. Come quando da giocatore correva e ti assaliva muto e inaspettato, visto che un attimo prima la sua figura si trovava dall’altra parte del campo. Oggi quando parla da allenatore colpisce per le pause zitte tra una frase e un’altra. Lo sguardo basso, in cerca di un perché. Come il suo calcio, che silenziosamente cresce. Non era nulla, ora è qualcosa. Un silenzio che fa rumore.