Il Venezia è una di quelle sfide che piacciono a Serse Cosmi
Il tecnico umbro ritorna in panchina in laguna per sostituire Walter Zenga. Una carriera di provinciali di successo, imitazioni a Mai dire gol e parole che difficilmente si dimenticano
Serse Cosmi irrompe nella vita degli italiani con una parodia, tra le meglio riuscite di Maurizio Crozza nel periodo d'oro di Mai dire gol. La Gialappa's Band prendeva amabilmente per i fondelli l'unica fede frequentata con convinzione in Italia, quella nel calcio. Non poteva restare indifferente a questo allenatore dalla parlata roca, dal volto da pugile e dal nome antico (scelto dal padre in memoria del fratello minore di Fausto Coppi, morto a 28 anni per una caduta al Giro del Piemonte). L'eterno cappellino in testa, a nascondere la calvizie, come segno distintivo e la battuta pronta come marchio di fabbrica. Facile canzonarlo, anche perché lui si prestava, fino a comparire di persona alla trasmissione su Italia 1.
Perché Cosmi era (ed è) ancora uno di quelli che interpretava il lavoro da allenatore in maniera disincantata. Altrimenti come sarebbe stato possibile accettare le offerte di presidenti come Luciano Gaucci a Perugia, Enrico Preziosi a Genova, Gigi Corioni a Brescia e Maurizio Zamparini a Palermo? Tutta gente dal colpo in canna, pronta a congedarti alla prima fesseria. O ritenuta tale da loro.
L'epoca televisiva era stata anche l'epoca d'oro di Cosmi, capace di restare in sella per quattro anni al Perugia, dal 2000 al 2004: un record per la gestione Gaucci. Era la società che licenziava un giocatore (il coreano Han Jung-Hwan) perché aveva segnato il golden gol che aveva eliminato l'Italia dal Mondiale 2002, quello dell'ineffabile Byron Moreno; era la società che metteva sotto contratto figli di dittatori (Saadi Gheddafi) facendogli disputare qualche minuto in due annate; era la società in cui i giocatori per primi erano scanzonati, come Fabio Gatti che indossava la maglia numero 44 in onore del cognome e della canzone dello Zecchino d'oro. Ma era anche una società che organizzava squadre che poi Cosmi faceva girare sul campo, una volta raccolta l'eredità di Carlo Mazzone, dopo la stagione dello scudetto negato alla Juventus nell'interminabile partita della pioggia e di Pierluigi Collina.
Il tecnico rende stabile la Serie A, lancia talenti (Fabio Grosso, per citarne uno), arriva a vincere il trofeo Intertoto e a qualificarsi per la Coppa Uefa 2003-04, come non accadeva dal 1979-80. Un'avventura, quella europea, spesso fatale per i piccoli club, incapaci di gestire due fronti. E quel Perugia non fa eccezione, cadendo nella maniera più improbabile, con uno spareggio retrocessione-promozione con la Fiorentina mai visto in Italia. Una soluzione resa obbligatoria dalla Serie B a 24 squadre, nata per il ripescaggio del Catania, dopo aver vinto una lunga querelle giudiziario sportiva. Il Catania, ulteriore beffa, gestito da Riccardo Gaucci, per conto del padre figlio di Luciano, in un intrico di multiproprietà allora possibili.
L'addio alla serie A porta con sé anche quello di Cosmi, che a va al Genoa, vince il campionato di serie B e vive un'altra coda inaspettata, con la promozione trasformata in un ultimo posto da una combine con il Venezia. Quel Venezia che il tecnico ha abbracciato ancora in B proprio in questa settimana, per cercare di risollevare una situazione fattasi più che delicata per il fallimento della gestione Walter Zenga, allontanato dopo aver raccolto sette punti nelle undici giornate. Un'impresa di quelle impossibili, come piace a Cosmi. C'è riuscito nel 2015 a Trapani, salvando una squadra poi condotta l'anno successivo a giocarsi uno storico spareggio promozione con il Pescara. C'è riuscito la passata stagione, prendendo l'Ascoli all'ultimo posto e salvandolo ai playout. Ora Venezia, dove ai grandi progetti del presidente Joe Tacopina (nuovo stadio, ovviamente, e serie A), non hanno fatto seguito i risultati, dopo la promozione della passata stagione. Cosmi non vedeva l'ora di rimettersi in gioco (“Ero come quelle donne che stanno per partorire, con la valigia pronta. Quando ho ricevuto la telefonata del presidente non ho avuto alcun dubbio”), noi di ritrovare un allenatore spesso ricordato più per le battute che per quanto proposto sul campo. Anche perché le sue parole difficilmente si dimenticano. Come ai tempi di Pescara: “Abbiamo preso un gol da Doudou, da uno che si chiama come il cane di Berlusconi...”.