Oltre Guardiola. I piani del Manchester City per il controllo globale del calcio
Gli interessi economici di Abu Dhabi e lo sport come mezzo per le relazioni internazionali. Non c’è solo il pallone dietro al City Football Group, la più grande organizzazione calcistica del pianeta
All'esterno della City Football Academy, l'avveniristico centro di allenamento del Manchester City – un luna park del pallone con sedici campi, inaugurato nel 2014 e costato 200 milioni di sterline – campeggia una frase significativa: “Creeremo una struttura per il futuro, non solo un team di stelle”. Sono parole di Mansour Bin Zayed Al Nahyan, che così annunciava in una lettera ai tifosi del City, nel 2008, l'acquisto della metà calcistica tradizionalmente perdente di Manchester. Le cose oggi sono drasticamente cambiate – in Inghilterra ancora oggi si dice che lo sceicco, vice primo ministro degli Emirati Arabi, ha comprato per un miliardo di sterline la Premier vinta all'ultimo secondo con Mancini in panchina – e quella frase, oggi, fa bella mostra di sé non solo a Manchester, ma anche in altri due continenti: America e Oceania, nei centri di allenamento del New York City FC e del Melbourne City.
È l'impero del City Football Group, un network forte, riconoscibile, in espansione. Tra il 2013 e il 2015 il gruppo ha introdotto una nuova franchigia in Mls – a New York, appunto, costo cento milioni di dollari – e rilevato il Melbourne Heart, una società fondata soltanto pochi anni prima. Le due squadre sono state create a immagine e somiglianza della più famosa consorella inglese, adottando il suffisso City e i colori caratteristici degli Sky Blues. Ma condividono molto di più: allenatori, fisioterapisti, scout, figure dirigenziali. Condividono, di fatto, una filosofia calcistica: “Un gioco offensivo e divertente”, spiegano sul proprio sito ufficiale. Un franchising di gioco di posizione, possesso palla e triangolazioni.
Il ragionamento è: siccome non possiamo portare il Manchester City ogni settimana a giocare negli States, o in Australia, allora gli offriamo una squadra che, esteticamente e calcisticamente, ne ricalca i tratti distintivi.
Illustrazione di Jacopo "Fatomale" Oliveri
Ogni club, con il proprio staff tecnico, è in contatto quotidianamente con il quartier generale di Manchester: se Guardiola ha una soluzione innovativa sui calci piazzati, viene applicata e metabolizzata anche nelle squadre gemelle. Può accadere anche il contrario, che sia il club inglese a beneficiarne – com'è stato, per esempio, nel caso della tecnologia indossabile, utilizzato in larga misura negli sport australiani ancora prima del via libera della Fifa, nel 2015. Lo spettacolo in campo, e questo non è un mistero, non è lo stesso offerto da De Bruyne e compagni; Patrick Vieira, che ha concluso la carriera da calciatore nel City e che poi è stato allenatore a New York per tre anni, ha così racchiuso il senso della contiguità calcistica tra i vari team: “Per via dei giocatori, non puoi avere la stessa qualità. Ma quello che abbiamo in comune è la filosofia di praticare quello che chiamiamo bel calcio: giocare a viso aperto, fare molto possesso palla, creare tante occasioni e segnare tanti gol. Il livello sarà diverso, ma la filosofia è la stessa”.
Nel portafoglio del City Football Group ci sono anche gli uruguaiani del Club Atlético Torque, gli ultimi arrivati del Sichuan Jiuniu, squadra di terza divisione cinese, più le partecipazioni negli Yokohama Marinos (20 per cento) e nel Girona, che gioca nella Liga (44,3 per cento). Sono investimenti che garantiscono al gruppo City una presenza sul territorio così da assicurarsi i migliori talenti locali. Questo alimenta l'idea stessa del network: un giocatore del Torque potrà sviluppare la sua carriera a New York, ma se abbastanza bravo potrebbe ambire anche a giocare nel Manchester City – è un incentivo per lo stesso calciatore. Non si gioca più per un club, ma per una catena di club: il City Football Group è la più grande organizzazione calcistica del pianeta, con un migliaio di tesserati a tutti i livelli. L'interscambiabilità tra i vari club tocca anche i nomi più celebri: Frank Lampard, prima di concludere la carriera nel New York City, ha giocato per gli Sky Blues di Manchester, perché ritenuto molto utile dal tecnico di allora, Pellegrini.
Ogni club è in contatto quotidianamente con il quartier generale di Manchester: si copiano anche i calci piazzati
Il gruppo ha appena superato i 500 milioni di ricavi annui. Ancora troppo poco per il ceo Ferran Soriano
Dietro questo progetto ambizioso c'è una precisa strategia. Simon Chadwick, professore di Sport Enterprise all'Università di Salford, ha spiegato al Foglio Sportivo le mire del City Football Group: “Il loro obiettivo, essenzialmente, è quello di giocare a calcio e vincere. Questo serve anche da veicolo per altri elementi della strategia del governo di Abu Dhabi: generare ricavi da investimenti diversificati all'estero; esercitare una strategia di soft power su paesi e altri importanti stakeholder; posizionare lo sport come mezzo attraverso il quale impegnarsi nelle relazioni internazionali”. Nel 2015, il presidente cinese Xi Jinping visitò le strutture del Manchester City. Due mesi dopo, il gruppo di investimento China Media Capital rilevò il 13 per cento del City Football Group, per un investimento di 400 milioni di dollari, dando così una valutazione complessiva di 3 miliardi. Il resto è nelle mani del fondo Abu Dhabi United Group, creato dallo stesso Mansour.
L'espansione del gruppo City in Cina va letta anche alla luce del grande fermento del paese nei confronti del calcio: Xi ha annunciato la creazione entro il 2025 di 50.000 academies di calcio, e in questo progetto il City vede un'opportunità enorme. L'acquisizione di una squadra cinese, il Sichuan Jiuniu, formalizzata appena un mese fa, rientra nella logica del gruppo. “Abbiamo investito in un club di una regione senza squadre in prima divisione”, ha detto il ceo del City Football Group Ferran Soriano. “Il nostro obiettivo è portarli nella Super League cinese e fare di loro il team di riferimento del Sichuan. Ovviamente, l'altro nostro intento è la crescita dei calciatori cinesi. Questo è un progetto a lungo termine: avremmo bisogno di una decina di anni per sviluppare una generazione di giocatori cinesi al livello di quelli che ci sono oggi in Inghilterra”. La prossima frontiera, ancora da esplorare, è l'India, un altro paese dove il calcio è in rapida ascesa: “Entro la fine dell'anno investiremo anche lì”.
Soriano è l'architetto dell'ambizioso progetto: da vicepresidente del Barcellona, tra il 2003 e il 2008, era riuscito a moltiplicare i ricavi della società – da 123 milioni di euro ci fu un balzo a 309 – e a risollevare un club a digiuno di vittorie. Aveva provato a mettere in pratica il modello City Football Group già ai tempi del Barça, ma per tutta risposta aveva ricevuto dinieghi ed espressioni stralunate. “A Barcellona sarebbe stato difficile dato il sistema democratico di governance in atto al club”, spiega Chadwick. “Al City si percepisce che ha molta più autonomia per fare ciò che vuole, con il sostegno dei proprietari dei club. Ciò che Soriano sta cercando di fare è innovativo, controverso, strategico, stimolante. Ha una visione della gestione dei club di calcio che si ispira al modello di business di Walt Disney”. Ovvero: produrre un film e distribuirlo in varie lingue, creare un merchandising attorno ai personaggi, realizzare parchi tematici e offrire esperienze collettive. Un business model che Soriano ritiene applicabile al calcio. Ma Walt Disney nell'ultimo anno ha fatturato 59 miliardi di dollari, il Manchester City ha appena superato la barriera dei 500 milioni di sterline di ricavi annui – il quinto club di calcio al mondo a festeggiare questo traguardo. Per Soriano è surreale: le squadre di calcio sono brand planetari, ma con un giro d'affari relativamente magro. “Se ho una platea di 500 milioni di tifosi e un fatturato di 500 milioni di euro”, le sue parole riportate dal Guardian, “guadagno un euro a tifoso. Questo è veramente ridicolo. Perché, per esempio, i tifosi indonesiani non sborsano nulla per il loro club. Cosa puoi fare? Devi essere globale, ma agire localmente. Vai in Indonesia e apri uno store”. L'idea di una squadra locale ma sostenuta dalla forza di un brand globale si sta dimostrando una strada vincente – replicare l'esperienza-City nei vari paesi ha un effetto a cascata, e crea una comunità di appassionati che sposa la causa del network. Quando venne rilevato il Melbourne, nessuno dei suoi tifosi poteva dire di seguire attivamente il calcio statunitense. Oggi, come afferma il club australiano, il 17 per cento dei suoi fan lo è anche del New York City. “Abbiamo un certo interesse in alcuni mercati dove c'è una sana passione per il calcio”, ha detto Soriano. “Tra dieci anni il gruppo potrebbe avere altre due o tre squadre, è quanto ci manca per completare la visione che abbiamo avuto all'inizio di questo progetto”.
La presenza in più mercati permette al City Football Group di avere un alto appeal commerciale: sfruttando la visibilità intercontinentale, stipula accordi di sponsorizzazione che non valgono solo per una sola delle squadre controllate, ma per tutto il network. L'ultimo caso è la firma di Puma, che dalla prossima stagione vestirà tutte le squadre della galassia City – New York escluso, perché le squadre di Mls sono vincolate ad Adidas. L'investimento da parte del brand di abbigliamento è stimato in oltre 70 milioni di euro a stagione per i prossimi dieci anni – il Manchester City con Nike non andava oltre i 23. “Si tratta della più grande collaborazione che abbiamo mai fatto, sia per portata che per ambizione”, ha detto il ceo di Puma Bjørn Gulden. “Non vediamo l'ora di iniziare la partnership più innovativa nella storia del calcio ridefinendo il modello stesso di partnership sportiva”.
L'esempio più vicino al City Football Group è quello di Red Bull, che ridisegna le proprie squadre con i colori biancorossi e gli onnipresenti tori: l'energy drink possiede il Lipsia, il Salisburgo, il New York Red Bulls e due piccole società, per lo sviluppo dei talenti, in Austria e Brasile. Anche in questo caso, alta esposizione del brand su più mercati e creazione di una filiera di giocatori – Naby Keita, ceduto al Liverpool per oltre 50 milioni, dopo due stagioni a Salisburgo ha proseguito la propria crescita con il Lipsia. Potrebbe essere questo il futuro del calcio? Simon Chadwick crede che, in un certo senso, siamo già entrati in questo futuro. “Penso che il calcio, in generale, stia già seguendo questa strada, con tentativi di commercializzare le proprietà controllate, e attraverso la convergenza del calcio e dell'intrattenimento che abbiamo visto nell'ultimo decennio. Tuttavia, il City Football Group sembra essere preminente in questo processo di Disneyfication, per l'impegno strategico in questo sviluppo e per la velocità con cui il gruppo è cresciuto. Le altre multiproprietà sono organizzazioni private, che mirano a traguardi commerciali. Nel caso del City Football Group, il network non è solo un'impresa, ma anche parte di una più ampia strategia geopolitica – in quanto, di fatto, si tratta di un'entità controllata da uno stato. Il City Football Group è molto ambizioso e seriamente intenzionato a raggiungere i suoi obiettivi”.