Quando Ernest Wilimowski osò segnare quattro gol al Brasile

L'attaccante polacco e quel raggio di luce, quella scheggia di speranza nella Polonia prima dell'invasione tedesca. A proposito di “Radio Wilimowski”, il romanzo del bosniaco Miljenko Jergovic

Marco Pastonesi

Innanzitutto compose a terra le parti metalliche: sei tubi di alluminio che si inserivano e si prolungavano l’uno sull’altro. Poi agganciò quattro anellini sulla sommità dei cavi, più sottili del filo di nailon usato per la pesca, e dispose i cavi lungo i quattro punti cardinali. Quindi ordinò ai tre aiutanti di afferrare un capo, lui tirò il quarto fino a sollevare l’antenna. Infine conficcò i cunei in terra e legò i cavi. A quel punto accese l’apparecchiatura radio e, navigando tra le frequenze, ascoltò musica: la musica classica e la musica del calcio. La terza sinfonia di Brahms e i Mondiali di calcio.

 

Era il 1938. Il 5 giugno, alle 17.30, a Strasburgo, nello Stade de la Meinau, per il primo turno del torneo, a eliminazione diretta, si giocava Brasile-Polonia. Il Brasile, quello di Leonidas, “il Diamante Nero”, “l’Uomo di Gomma”, attaccante e artista, goleador e ballerino, funambolo del dribbling e acrobata della bicicletta, una rovesciata fatta pedalando nell’aria e mai vista prima. E la Polonia, quella di operai del pallone. Il Brasile, una squadra – la Seleçao – formata da semidivinità ed eroi, nomi che suonavano come quelli di miti antichi, come Hercules, o come maghi, come Zeze Procopio. E la Polonia, undici cognomi infarciti di consonanti gutturali e velari. Nonostante l’antenna, un’antenna così alta e grossa non era mai stata alzata al cielo, o forse proprio a causa di quell’antenna, il collegamento sembrava disturbato da migliaia di onde radio, finché il ronzio non si trasformò in cori e canti stonati, quelli degli spettatori.

  

Che partita. Leonidas, gol al 18’; pareggio di Scherfke, su rigore per atterramento di Wilimowski da parte di Hercules, al 23’; Romeu al 25’ e Peracio al 44’, fine del primo tempo Brasile-Polonia 3-1 e la sensazione forte che il match fosse già finito. Invece, Wilimowski: gol al 53’, gol al 59’, e parità, 3-3. Il Brasile, direbbero adesso i telecronisti, non ci sta: secondo gol di Peracio, al 71’, e 4-3. Ma ancora Wilimowski, all’89’: 4-4, e supplementari. Il Brasile tremava, la Polonia fremeva. Leonidas ruggì due volte: gol al 93’ e al 104’. Wilimowski non si arrese: gol al 118’. Mai nessuno era riuscito a segnare quattro gol in una partita dei Mondiali. Mai nessuno aveva osato segnare quattro gol al Brasile. Gli ultimi 120 secondi non cambiarono il risultato: Brasile-Polonia 6-5.

 

Radio Wilimowski” è il romanzo del bosniaco Miljenko Jergovic (Bottega Errante Edizioni, 163 pagine, 17 euro) in cui si racconta il viaggio di un vecchio professore polacco, da Cracovia all’Adriatico, quando già si sentono i venti della guerra. E Wilimowski è un raggio di luce, una scheggia di speranza, un coriandolo di felicità. Veniva dalla Slesia, che non era Polonia e non era Germania, ma una terra di mezzo, un popolo a parte. Ernest Wilimowski, ma i radiocronisti lo chiamavamo affettuosamente Ezi, era nato nel 1916 a Kattowitz, l’attuale Katowice, e nei primi sei anni di vita passò, senza accorgersene, da suddito del Kaiser Guglielmo a cittadino della Repubblica di Weimar e poi della rinata Repubblica di Polonia. A 12 anni debuttò nella prima squadra del Kattowitz come Pradelok, il cognome di suo padre, di cui era rimasto orfano. A 13 adottò il cognome del patrigno, Wilimowski. A 17 venne ingaggiato dal Ruch Chorzow: in cinque stagioni conquistò quattro scudetti, tre volte fu capocannoniere, segnò 117 gol in 89 partite. A 17 anni esordì in Nazionale, e già al secondo match andò in gol. Un fuoriclasse, ma molto discusso: un po’ per certe voci, su alcol e scommesse, un po’ per certi comportamenti, due contratti firmati quasi contemporaneamente per una squadra francese e un’altra brasiliana, poi annullati dalla Federcalcio polacca, molto per la sua difficile collocazione geografica e politica. Dopo Polonia-Ungheria 4-2, in cui Ezi si procurò il rigore del primo gol e poi segnò gli altri tre, e dopo la guerra, andò ad abitare e giocare in Germania, anche per la nazionale tedesca, senza mai smarrire la via del gol, 13 in otto partite.

 

Tradimento? Certo Wilimowski fu ripudiato. Giocò fino a 43 anni, poi fece l’allenatore e si stabilì a Karlsruhe. A chi gli chiedeva perché avesse deciso di diventare tedesco, come Kazimierz Gorski, c.t. della Polonia ai Mondiali 1974 proprio in Germania, Wilimowski spiegava che lo aveva fatto per salvare la pelle sua e di sua madre, finita a lavorare a Auschwitz per le SS per una presunta relazione con un ebreo russo. Ezi morì nel 1997. E la Federazione polacca non partecipò al funerale.

Di più su questi argomenti: