Che la farsa sia con voi
Il problema non è l'esultanza di Kean a Cagliari ma gli ululati dei tifosi per un giocatore di colore
Provate a mettervi nei panni di Moise Kean, diciannove anni, italiano, di colore. La settimana scorsa va in Nazionale, segna due gol, e viene celebrato quasi unanimemente come “la nuova speranza” del calcio italiano, tanto che Allegri, saggio e paterno, è costretto a raffreddare tutti con decisione, ricordando che il ragazzo ha segnato contro il Liechtenstein. Allegri, da uomo di mare, aveva sentito arrivare la tempesta. Infatti una settimana dopo Kean va a Cagliari, e finisce dentro uno dei rituali e sempre più avvilenti psicodrammi del nostro calcio. E il bello è che Kean non fa assolutamente niente di male, anzi, si comporta in modo impeccabile per tutta la partita: prende senza reagire le botte che deve prendere un attaccante, prende senza reagire insulti e ululati, che non dovrebbe prendere, poi fa gol, e lo festeggia a braccia aperte guardando, giustamente fiero, la curva che lo sta contumeliando. Apriti cielo.
Immediatamente, tutto il circo chiamato “calcio italiano” inizia a dare il peggio di sé: dirigenti che giustificano gli ululatori, opinionisti che si incazzano, media che delirano, social network non ne parliamo; si scatena perfino un dibattito in rete tra giocatori, originato dalle parole di Bonucci, che – insieme ad autorevoli firme del giornalismo italiano – a caldo sposa la teoria dell’esultanza “provocatoria” del ragazzo, salvo poi scusarsi. Sì, Bonucci, quello che per svelenire il clima era solito esultare facendo un gesto che invitava i tifosi, compresi i suoi ex, a “sciacquarsi la bocca”. Suggeriamo a Kean, al prossimo gol, di abbandonare le pose ieratiche, e lasciarsi andare a un bel “sucate” a due mani in stile Cristiano Ronaldo. Quello va bene.
Dall’estero, intanto, ci guardano sbigottiti, visto che per questi bizzarri stranieri il punto non sembra essere l’esultanza di Kean, quanto il fatto che ci sia ancora gente che – impunita, sia dalle istituzioni che dagli altri tifosi, a questo punto complici – fa “uh-uh” ai giocatori di colore. Chissà, forse perché si ricordano di Johann “Rukeli” Trollman, campione tedesco di boxe degli anni Trenta del secolo scorso. Era di etnia sinti, e la Germania nazista non poteva tollerare che un non ariano eccellesse nella nobile arte del pugilato. Nel 1933, in uno dei tanti incontri organizzati con regole studiate apposta per farlo perdere, si presentò sul ring cosparso di farina e coi capelli tinti di biondo. “Volevate l’ariano? Eccolo”. Anche lui un “provocatore”, evidentemente. Trollman è morto in un campo di concentramento nel 1944. La sua, fu tragedia. La nostra, almeno speriamo, è farsa.