L'argento non serve a niente
Maledetto nervosismo. A un passo dalla Coppa del mondo di biathlon per tutta la stagione, Lisa Vittozzi ha perso il primo posto all’ultima gara. E ci racconta come e perché ha sbagliato
Tu non vinci l’argento, tu perdi l’oro. È di un anonimo pensatore uno dei più belli, quanto crudeli, aforismi sulla sconfitta. Forse aveva ragione Ayrton Senna, quando sosteneva convinto che arrivare secondo significa soltanto essere il primo degli sconfitti. Certamente non ebbe torto Julio Velasco quando scolpì nella pietra che “chi vince festeggia, chi perde spiega”. Lisa Vittozzi è arrivata a un passo dalla Coppa del mondo di biathlon. E quindi spiega. L’ha vista materializzarsi tra le sue mani, l’ha immaginata mentre la prendeva in mano e la alzava al cielo. Era lì, ancora tre gare e poi, a 24 anni, avrebbe scritto una pagina indelebile dello sport italiano. In una stagione dove lo “scia e spara” sembrava aver strofinato la lampada di Aladino e, tra medaglie ai Mondiali e coppe di specialità, era pronto a fare il pieno grazie a Lisa.
Poi, come un clic sul grilletto, l’interruttore si spegne. Scende il buio e la mira si appanna, le gambe tremano e tutta la fiducia con la quale Lisa aveva costruito un solido vantaggio franano sotto la rimonta di Dorothea Wierer. Che all’ultima gara la batte e mette le mani su quella Coppa che Lisa ha solo immaginato. “È stata davvero dura accettare questo verdetto”, dice al Foglio Sportivo la Vittozzi, non senza avere ancora in bocca il sapore amaro che regala la piazza d’onore. È passato qualche giorno, forse è davvero il tempo il medico migliore per suturare ferite così profonde. “Sono stata male – racconta – inutile far finta che il secondo posto mi abbia appagata. Ero ad un passo dal successo, sentivo di potercela fare e nei primi momenti dopo l’ultima gara mi sentivo crollare il mondo addosso”. E lì cosa è intervenuto a impedirti di prendere quel fucile e quegli sci e fare un gran falò? “Non si può buttare una stagione di trenta gare perché tre sono andate male”.
Illustrazione di Chiara Lanzieri
“Non si può buttare una stagione di 30 gare perché tre vanno male”. Ma se sono le ultime tre… “Non sono stati giorni facili”
Sì, saggia. Ma se sono le ultime tre, forse… “Certo, non sono stati giorni facili. Però ho provato a ragionare in positivo. Oh, guarda che io sono una ipercritica con me stessa. Se c’è una cosa che va bene al 90 per cento io guardo solo il 10 per cento che non va”. Non esattamente la condizione caratterialmente migliore per fare spallucce. Pare di capire che il fatto che sia stata la Wierer ad operare il fatal sorpasso non risulti essere un dettaglio trascurabile. In Formula 1 si dice che il tuo peggior nemico sia il tuo compagno di squadra. Chissà come la prese davvero Franco Bitossi, quando il 6 agosto del 1972, al Mondiale di ciclismo di Gap, in Francia, il suo compagno di squadra Marino Basso gli sfrecciò sotto il naso quando lui stava per alzare le mani dal manubrio per esultare. “Sono molto autocritica – prosegue Lisa – e per prima cosa me la prendo con me stessa. Dorothea è stata molto brava e io posso solo rammaricarmi per non aver avuto la giusta lucidità quando sentivo che lei mi era così vicina”. Già, la lucidità. Se non ce l’hai in uno sport come il biathlon di strada ne fai poca. Ma Lisa Vittozzi è una che a 24 anni appena compiuti ha già vinto tantissimo. Sa reagire sotto pressione, è una che ha al collo anche una medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Pyeongchang (staffetta mista, insieme alla Wierer, Hofer e Windisch).
Lisa Vittozzi alla cerimonia del secondo posto dei Mondiali di Biathlon (Foto LaPresse)
Quindi? “Ero nervosissima, ma non perché sentivo la pressione della gara. Lo ero dalla staffetta ai Mondiali di Ostersund, quando io ero in pista senza chanche di medaglia visto che Dorothea aveva dato forfait”. Lì è scesa la nebbia, il mirino si è fatto piccolo-piccolo, il bersaglio sempre più lontano e la sciata fluida è diventata pesante. “Ho sbagliato a tenermi tutto dentro, avrei dovuto aprirmi di più. Confidare questo mio momento di debolezza ai miei allenatori e cercare con loro di uscire da quella buca nella quale mi ero messa”. E invece Lisa Vittozzi ha scelto di fare da sola, di uscire dalla trincea senza l’elmetto e affrontare il destino a petto in fuori. “E ho sbagliato. Ho pensato che tutto l’ambiente fosse sotto pressione e che non era il caso di aggiungerne altra. A livello inconscio forse ho pensato che qualcuno avrebbe potuto accorgersi di questo mio momento di poca lucidità. E magari aiutarmi a ritrovare freddezza”. Si chiama orgoglio quello che ti frega, cara Lisa. Lo cantava Vasco Rossi nel 1983 (“Giocala”). Perché? “Questa volta ho agito d’impulso, ho voluto dimostrare a tutti quanto fossi forte. Volevo risolvere la questione a modo mio, di forza. Quella staffetta andata male mi ha tolto serenità. Ho consumato energie che mi sarebbero state utili nel finale di stagione. Non parlo di energie fisiche, ma di energie nervose”.
Con la Wierer “c’è rispetto. Andiamo abbastanza d’accordo, se non ci unisse il biathlon non ci frequenteremmo”
Quelle che invece Dorothea ha avuto per chiedere davanti. 904 la Wierer, 882 Lisa, 870 la Kuzmina, protagonista di una rimonta finale strepitosa. Enzo Ferrari, non esattamente uno tenero, sosteneva non senza una punta di perfidia che “nessuno ricorda chi arriva secondo”. Lisa lo ricorda perfettamente, e su questo sta provando a ricostruire. “Intanto tra qualche giorno vado in vacanza con il mio fidanzato in Repubblica Dominicana”. Bisogno di staccare? “Sì, tanto. Poi devo dirti che non sopporto la gente che mi guarda come se fossi malata. Ho perso, va bene. Ma non trattatemi con commiserazione. Questo mi manda in bestia”. Caratterino, e poi? “Sotto con gli allenamenti. Ho deciso di non piangermi addosso, di usare questa delusione nel modo giusto. Non ci devo più pensare se non per comprendere a fondo i motivi di questa implosione finale in modo da correggere gli errori e non ripeterli”. Saggia Lisa da Sappada. Ma non sei nata a Pieve di Cadore? Ci sono almeno 40 minuti tra un luogo e l’altro, oltretutto Sappada dal Veneto è passata al Friuli mentre Pieve è in provincia di Belluno. “Ma io sono di Sappada, a Pieve di Cadore sono solo nata. Tutta la mia vita è a Sappada”.
Dove questa sera le riserveranno una bella festa con tante sorprese. A Sappada sono abituati a celebrare, hanno una percentuale di medagliati olimpici tra le più alte del molto. Milleduecento anime e dieci medaglie a cinque cerchi. Questa è la patria del fondo, Silvio Fauner ne ha al collo cinque e anche se lui ripete che il suo successo più bello è al Mondiale di Thunder Bay (1995, pochi giorni dopo la nascita di Lisa…) a noi batte il cuore soprattutto ricordando gli anni che abbiamo perso nella sua volata vinta contro Daehlie nell’arrivo della staffetta di Lillehammer ’94. Poi ci sono le quattro che ha conquistato Pietro Piller Cottrer (“l’oro in staffetta a Torino 2006 è stato uno dei momenti più emozionanti. Vedere Pietro allenarsi vicino casa mia mi dava sempre degli stimoli unici”, ricorda Lisa).
E quella di Lisa in Corea, condivisa con Dorothea. Ma siete amiche o no? “C’è grande rispetto tra di noi. Andiamo abbastanza d’accordo, ma siamo diversissime. Forse se non ci unisse il biathlon non ci frequenteremmo. Abbiamo caratteri all’opposto. Io sono chiusa, faccio poche domande. Lei invece è molto espansiva, ha un carattere esuberante. Dimostriamo le nostre emozioni in modo diverso. Lei è più adatta al palcoscenico, io sono più introversa. Da bambina ero un maschiaccio, giocavo a calcio. Poi ho smesso perché a Sappada non c’erano squadre femminili”. Ma a Dorothea “invidi” sportivamente qualcosa? Faresti cambio con qualcosa di suo? “No. Non cambierei niente. Il mio punto di forza è sempre stata la freddezza. Proprio quello che mi ha fregato in coppa del Mondo. Ma adesso riparto carica, ci sono i Mondiali di Anterselva e poi punto a Pechino 2022. Ho perso un’occasione ma ho 24 anni e sono sicura che saprò riconquistarmene altre di opportunità”. E quando avrai finito con lo “scia e spara”? “Farò la mamma”. Quando non ti alleni cosa fai? “Quando non mi alleno? Mi alleno…”.