Il calcio di Pavoletti è una questione di testa

Dal 2013, anno in cui si è affacciato alla serie A, a oggi Pavoletti ha segnato 46 gol. Quelli di testa sono stati 23: esattamente il 50 per cento

Leo Lombardi

Una questione di testa, come sempre. Leonardo Pavoletti non pensava al calcio come a una professione. Gli piaceva il tennis, come gli piaceva studiare. Si sarebbe anche adattato a fare qualsiasi altro mestiere, fino a quando il pallone non ha preso il sopravvento. La svolta a Lanciano, dove arriva quasi per caso e dove contribuisce in maniera determinante alla promozione in serie B nel 2012. Basta per essere riscattato dal Sassuolo, ma non per essere considerato parte integrante del progetto, nonostante altri 11 gol che contribuiscono a uno storico salto in serie A degli emiliani. Va in prestito a Varese, e con 20 reti è decisivo per la salvezza in B. Va in prestito al Genoa, e con una media di alto profilo (6 gol in 10 partite) convince il club rossoblù ad acquistarlo. Altri gol lo fanno entrare nella sfera di interesse del Napoli, che lo ingaggia nel gennaio 2016: c'è da sostituire l'infortunato Arkadiusz Milik. Pavoletti in quel periodo non soltanto segna, ma è anche entrato nel giro della Nazionale. E commette l'errore di farsi tentare dal grande club. Con Maurizio Sarri non si prende: il tecnico ama un gioco fatto di fraseggi e velocità, che cosa se ne fa di quel lungagnone di 188 centimetri, bravo solo a incassare botte e a colpire di testa? Il risultato sono appena sei presenze (due da titolare) e nessun gol. “Ero andato là per essere protagonista, mi sono ritrovato gregario”, la fotografia di quei pochi mesi.

  

Pavoletti sceglie Cagliari per ripartire. E in due anni, quella che sembrava una scommessa, si è rivelata la scelta ideale. Perché sull'isola, fin dai tempi di Gigi Riva, amano i giocatori di potenza e di coraggio, che si buttano in situazioni che la maggior parte degli attaccanti preferisce evitare. Pavoletti lo fa con un'arma micidiale, la testa, per l'appunto. Prima ha messo a posto se stesso (“Ero frivolo e leggero”), poi ha messo posto la mira. Non chiedetegli di segnare di piedi. Certo, lo fa, ma la testa viene prima di tutto. Quello contro la Spal è stato l'ottavo su undici con tale soluzione in stagione. Dal 2013, anno in cui si è affacciato alla serie A, a oggi Pavoletti ha segnato 46 gol. Quelli di testa sono stati 23: esattamente il 50 per cento. Una media che nessuno ha saputo tenere in Europa, a cominciare da un maestro conclamato come Cristiano Ronaldo, che l'attaccante del Cagliari sceglieva sempre alla PlayStation per vincere. Colpi di testa proposti sotto ogni angolazione, perché Pavoletti colpisce in elevazione prepotente come con angoli imprendibili, implacabile nei tap-in, come si è visto domenica. E come si era visto in Nazionale contro il Liechtenstein: in campo da quattro minuti, ha ribadito (di piede, in verità) quanto aveva appena però costruito di testa, rendendo inutile la respinta del portiere.

 

 

Quella di Parma, il 26 marzo, è stata la serata del debutto in azzurro. Pavoletti ci è arrivato tardi, a 30 anni e quattro mesi, come tardi è arrivata la consacrazione personale. Una storia professionale che lo accomuna ad altri importanti centravanti italiani, come Luca Toni o Cristiano Lucarelli, che non è solo concittadino (sono entrambi livornesi), ma anche modello di riferimento: gente diventata importante nella seconda fase della carriera. Allo stesso modo sono quasi uniche le sue caratteristiche di attaccante vecchio modello, in un'epoca che tende a farne a meno per privilegiare i cosiddetti falsi nove oppure chi in campo non dà punti di riferimento agli avversari in prima linea. Pavoletti li dà, eccome, ai difensori che devono marcarlo, che sanno bene come la sua inzuccata sia l'arma finale delle manovre offensive del Cagliari. Ma, in campo, regolarmente non riescono ad annullarlo, sia che si tratti di una semplice acrobazia su rinvio, sia che si parli di un contrasto sotto porta. Sempre identico a se stesso, Pavoletti, quando si tratta di colpire di testa, ma sempre inesorabilmente diverso. E questa è la sua forza.

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