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Il supercomputer, la Champions e le profezie al pub

Jack O'Malley

I big data prevedono i risultati, ma noi facciamo un tifo sfrenato per l’imprevisto che salva le partite

Durante le lezioni di spagnolo a scuola ero distratto a pensare alla bionda che mi piaceva tanto, per cui non sono ferrato nella lingua che si parla dalle parti di uno dei campionati più sopravvalutati del mondo, La Liga, ma non fatico a pensare che “me cago en tu puta madre” non sia un verso di Cervantes. Diego Costa ha trovato il modo migliore per iniziare le vacanze in anticipo, strattonando l’arbitro dicendogli così: otto giornate di squalifica e stagione finita. Per lui, perché per la sua squadra era finita già da un pezzo. Fuori dalle coppe, l’Atletico Madrid ha guardato i quarti di Champions in televisione, come si dice.

 

Ho letto in giro che un supercomputer avrebbe già previsto tutti i risultati da qui alla finale, elaborando i big data delle otto squadre rimaste in corsa. Secondo il Gianni Riotta in silicio in semifinale andranno Juventus, City, Liverpool e Barcellona. In finale i bianconeri batteranno i blaugrana e tanti saluti alla maledizione juventina. Ora, per prevedere le semifinaliste non avevo bisogno dell’algoritmo, bastava chiedere al mio amico Pete dopo la terza pinta. Il dramma è che il supercomputer ha praticamente azzeccato i risultati dell’andata dei quarti (con qualche errore di misura, ma la sostanza non cambia), dall’1-1 dell’Ajax alla vittoria convincente dei Reds contro il Porto. Mi inquieta un calcio sempre più simile a Football Manager e continuo a tifare fortissimamente imprevisto. Non favola, si badi, ché la favola annoia quasi quanto i big data: al bancone del mio pub andiamo pazzi per i rigori sbagliati, i rimpalli fortuiti, i cross sbagliati che diventano tiri imprendibili, il cagotto prepartita che fa fuori il campione, insomma tutto ciò che rende questo sport meravigliosamente più imprevedibile di un negoziato sulla Brexit o una previsione di un tifoso interista sul prossimo risultato che farà la sua squadra.

 

Il giorno in cui non avremo nemmeno bisogno che le squadre scendano in campo, perché tanto il cervellone, elaborando i dati raccolti durante gli allenamenti, ci avrà già detto come andranno a finire le partite, spero di essere abbastanza sbronzo da non ricordare più niente. Per esserlo chiederò una mano a Drinkwater, il giocatore del Chelsea dal cognome più triste dopo quello di N’Koulou: scartato da Maurizio Sarri che gli ha fatto vedere il campo meno di quanto un politico di sinistra oggi veda una vittoria elettorale, Drinkwater è stato fermato per guida in stato di ebbrezza pochi giorni fa. Forse era commosso, anche lui come Twitter, per il gesto di Candreva, o aveva visto l’errore di Choupo-Moting.

 

Nel disperato tentativo di far parlare della Ligue 1 non soltanto per gli imbarazzanti distacchi in classifica tra la prima e le altre, l’attaccante del Psg è riuscito a togliere dalla linea un pallone calciato da un suo compagno che stava per entrare in porta.

 

 

Il Psg non ha così vinto partita e titolo, e per una settimana il resto del mondo si è ricordato che esiste un campionato anche da quelle parti, e non solo per le gesta di Balotelli (l’ultima: ha rotto il naso a un avversario con una manata, ha preso una giornata di squalifica, ne rischiava otto: sarebbe andato a fare compagnia a Diego Costa). Si prepari la serie A, che presto farà la stessa fine.