Allegri, un sorriso dentro la tempesta
Un allenatore così, nell’epoca del tutti sanno tutto, è una pepita d’oro grande come un sasso rotolata con la piena ai piedi del pescatore
Mancano poche ore all’inizio di un momento molto importante. E’ la partita contro l’Ajax. Allegri sta rivolgendo il suo discorso alla squadra. C’è un silenzio di tomba dentro lo spogliatoio. A metà di una frase, forse la più significante, Allegri blocca le parole e sorride. I giocatori si guardano, interdetti. Perché il mister si comporta così? Bernardeschi, uno dei più timidi, toscano come lui, si copre il viso, si piega e comincia a sghignazzare. Lo fa in maniera così sincera e divertente da coinvolgere anche il resto della squadra. A pochi minuti dal fischio d’inizio nello spogliatoio della Juventus tutti ridono. Quella descritta però non rappresenta la cronaca dei fatti, bensì un’ipotesi di fantasia, un piccolo escamotage narrativo che renda la descrizione di un uomo, Massimiliano Allegri per l’appunto, ancora più vera.
Il paradosso è utile. C’è una partita di calcio valevole per l’esistenza – cosa che innegabilmente è, quando mettiamo in relazione la Juventus e la Champions di questi tempi – e il capo della ciurma ride. Invece di invitare i suoi giocatori al combattimento, al sangue, al sudore, all’attaccamento alla maglia, alla retorica, ride. Fotografiamo questa immagine, fermiamola nella sua inverosimiglianza, ma proprio per questo sovrapponiamola al ritratto perfetto dell’uomo che ha condotto la Juventus a vincere l’ottavo scudetto consecutivo, il quinto personale. Perché Allegri è essenzialmente questo: un sorriso dentro una tempesta, una battuta fredda in cuore caldo, lo sguardo altrove mentre la casa brucia. E la Juventus lo rispecchia, tanto che anche ad Amsterdam ha giocato proprio in questa maniera, con freddezza e autocontrollo.
Uno così, nell’epoca del tutti sanno tutto – analfabetiche lezioni – è una pepita d’oro grande come un sasso rotolata con la piena ai piedi del pescatore. Allegri non si preoccupa di piacere, di accontentare, tantomeno di assecondare. L’allenatore della Juventus ha in testa solo una cosa: la vittoria. Il resto sono chiacchiere da bar che a lui, del bar un tempo ideale frequentatore, non interessano. E in questo si nasconde un altro paradosso. Allegri è stato chiacchiere toscane, tresette briscola e scopa, sigarette fumate davanti a un bancone, donne prese e poi lasciate sull’altare, provincialismi mitici e pieni di goliardia. Il bar, appunto. Eppure di questo mondo che fu, anni Settanta, Ottanta, Novanta, a lui è rimasto il sale, l’essenza, la libertà, non la nostalgica amarezza. Allegri di quella vita passata ha conservato l’ottimismo, l’attesa e soffiato sulla polvere. Dei tanti pomeriggi passati davanti al mare della sua Livorno ha trattenuto il ricordo dello spazio e dei profumi. E forte di quella grazia che è il disincanto, si è irrobustito con il passare delle stagioni, scoprendosi migliore delle sue stesse aspettative. Ha salutato il bar, gli amici simpatici e ha scelto di vivere lontano. Con l’ambizione di un poeta che vuole scrivere il verso perfetto da declamare al futuro.