Il calcio inizia a preoccuparsi della Brexit: il caso Derry City
Il club biancorosso è nordirlandese, ma dal 1985 milita nel campionato della Repubblica d'Irlanda. Cosa potrebbe cambiare con l'uscita del Regno unito dalla Ue
Da una parte il confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, dall’altra il fiume Foyle che divide in due la città. Nella periferia del quartiere operaio di Bogside, in fondo a Lone Moor Road, la casa del Derry City, il Ryan McBride Brandywell Stadium, intitolato alla memoria del giovane difensore del club trovato morto nella propria casa, poco distante dall’impianto. Ed è in questa terra di confine che si giocherà uno dei tanti temi, e problemi, conseguenti la Brexit, non il più importante, ma nemmeno così secondario, visto che il calcio è l’anima pulsante di questa città, dove l’identità e l’appartenenza si respirano ovunque, impregnano ogni muro, ogni sasso e l’utilizzo che di questo si decide di farne.
Il club biancorosso, nato nel 1928 con gli stessi colori dell’Aston Villa, è nordirlandese, ma dal 1985 milita nel campionato della Repubblica d'Irlanda, che ha vinto due volte, e questo gli è venuto facile grazie all’Unione europea e alla conseguente Convenzione di Schengen, che regola l’apertura delle frontiere tra i Paesi firmatari.
Derry o Londonderry, a seconda delle simpatie nazionaliste o unioniste, è stata fondata nel VI secolo e per molto tempo è stata chiamata Walled City per il muro costruito a difesa delle invasioni inglesi e scozzesi. Muri e confini, quindi, non sono una novità e non lo saranno mai. Ma negli ultimi decenni è cresciuta l’economia grazie al combinato disposto della libera circolazione di uomini e merci e della posizione privilegiata: “Abbiamo vissuto gli anni dei controlli duri, con la polizia inglese dappertutto, sopravvivremo pure a quelli che verranno” stigmatizza Mickey Kerrigan, presidente del Pride of the Northside Supporters, casa del tifo biancorosso. Per il club cambierà poco o niente dal punto di vista sportivo dato che già esiste un accordo tra Fifa, Uefa, Ifa e Fai, quindi continuerà a giocare nel campionato della Repubblica d’Irlanda; naturalmente saranno più complicate da un punto di vista organizzativo ed economico le trasferte. Ma anche questo non sembra un problema insormontabile per una squadra che durante i Troubles ha dovuto giocare le partite casalinghe a Coleraine, cinquanta chilometri a Nord, perché il quartiere e di conseguenza lo stadio erano continuo territorio di scontri.
I problemi reali riguardano lo status dei calciatori, comunitari e/o non comunitari, e l’eventuale svalutazione della sterlina con conseguenze sui salari dei giocatori e sul budget della società, rispetto alle altre irlandesi. Una società che dal 2010 è di proprietà dei tifosi dopo che nel 2009 è stata esclusa dalla massima divisione per dei contratti irregolari e riammessa in serie B qualche settimana più tardi, grazie al cuore degli abitanti di Derry, che non potrebbero stare senza e che si sono frugati in tasca per non farla fallire: “Nessuno possiede il Derry City FC a parte la gente di Derry. Sono state le persone e la città a salvare il club. Persone, fan, gente comune, sono usciti e hanno bussato alle porte per raccogliere soldi, sono andati in giro nei pub con i secchi, hanno fatto quello che potevano per tenere in vita la squadra. Derry è una piccola comunità, gli abitanti si preoccupano del loro club ed è per questo che ne abbiamo ancora uno”, dichiarò l’allora capitano Peter Hutton. Club che negli anni Sessanta aveva tanti tifosi unionisti, provenienti da Waterside, ma dopo gli scontri le cose sono cambiate e i colori della squadra sono diventati quelli dei nazionalisti, sempre più in maggioranza nelle stand dello stadio, tanto che a volte i loro pullman sono stati presi di mira dagli unionisti con bombe molotov al ritorno da alcune trasferte. A onore del vero sono pochi i fan che utilizzano il tifo per fare politica, ma l’appartenenza è qualcosa che da queste parti non puoi non avere e non passa inosservata.
Philipp O’Doherty, titolare di un’azienda ingegneristica con oltre cento dipendenti, è il vice presidente del Derry City FC e si augura che siano prese delle misure di salvaguardia per tutti i club del Regno Unito una volta che la Brexit entrerà in vigore. Mentre il sindaco, John Boyle, spera che non ci siano ripercussioni per la società la quale, in questo caso, rappresenta più che mai la comunità. Presidente è John Hume, nativo di Derry e fondatore del partito Socialdemocratico e laburista nonché premio Nobel per la pace nel 1998, grazie all’accordo del Venerdì Santo, uno dei più importanti nel processo di pace dell’Irlanda del Nord. Accordo che la nuova Ira non riconosce e lo scorso gennaio ha fatto esplodere due bombe a Derry per esprimere il proprio dissenso contro l’eventualità di un nuovo confine a separare Nord e Sud dell’Irlanda, rischiando di fare una strage, che solo per fortuna non si è verificata. Con il Bloody Sunday Monument, al 25 di Rossville Street di Bogside, a fare da memento per tutte le parti.
L’unicità di Derry è parte integrante della cultura popolare irlandese e non solo. Il suo essere città di confine, la sua squadra di calcio, il suo passato mescolati insieme sono stati più volte raccontati da reportage dei media di tutto il mondo, le sue immagini e i suoi colori sono finiti anche sulle copertine di vinili di successo. Il football rappresenta il cuore storico di questa città, con la sua fierezza e la sua naturale cupezza, qualcuno paragona tutto questo al rapporto che c’è tra Liverpool e i Reds, togliendo la guerra e aumentando il palmares forse, ma nessuno da queste parti farebbe a cambio. “Volando, su nel cielo, terremo alta la bandiera rossa, Derry City fino alla morte, terremo alta la bandiera rossa”, recita uno dei canti che sale dalla Northside e con la Brexit che incombe la gente di qui si guarda in faccia e si ripete il mantra “Siamo unici”. Oltre i muri e dentro i confini, con la palla che continuerà a rotolare da una parte all’altra finché ci sarà sempre qualcuno che la rilancerà su un campo di calcio.