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Le coppe europee, l'algoritmo e l'hamburger volante

Jack O'Malley

Ora che tutti sanno cosa dovevano fare Juve e Napoli, spiegatemi che ci fanno lì tutte quelle inglesi

Mercoledì, prima del godurioso quarto di finale di Champions League tra Manchester City e Tottenham, e prima che il Liverpool passeggiasse sui resti del Porto, ho lanciato un sondaggio su Twitter: secondo voi, chiedevo, in semifinale di Champions League ci saranno più squadre inglesi o italiane? Tre risposte: 1) inglesi; 2) italiane; 3) O’Malley sei un coglione. Poiché ho dei follower simpaticissimi, ha vinto la risposta 3 con il 68 per cento dei voti.

 

Se i sondaggi su Twitter fossero una metafora, sarebbero metafora di un popolo di tifosi che non ammette di seguire un campionato più inutile di una polemica della Murgia contro Salvini sui social, la serie A. Grazie a Dio il calcio non è metafora di niente, nemmeno di se stesso (come spiegare che un paese allo sbando come il nostro porti quattro semifinaliste in due coppe europee? Ma voi continuate a dire che la Premier è sopravvalutata, mi raccomando), e se ha insegnato qualcosa in questi anni è che siamo tutti allenatori con le squadre degli altri.

 

In Italia c’è stata la gara di leccate di culo ad Ancelotti e Allegri per sei mesi: allenatore vincente e solido il primo, grande stratega e gestore di spogliatoi il secondo, più forte di Sarri Carletto, finalmente fortissimo con CR7 Max e così via. Dopo le eliminazioni dalle coppe, giornali, siti e social sono pieni non solo di gente che sapeva come avrebbero dovuto fare i due mister per passare il turno, ma soprattutto di esperti che lo avevano detto che il Napoli e la Juve erano come il sapore delle fragole, non più quelle di una volta. Sarebbe meglio occuparsi di cose serie, ma più seguo il calcio più mi accorgo che è impossibile. Da quando qualcuno ha deciso che lo sport più bello del mondo deve educare e rieducare le coscienze formando cittadini consapevoli, democratici e moderni, si parla di allarme razzismo ed emergenza clima come su una prima pagina qualsiasi di Repubblica (il Betis diventerà il primo top club “climaticamente neutrale”, ho scoperto. Poi ho subito ordinato un doppio whisky).

 

Lo confesso, ogni tanto vorrei essere sparato nello spazio come quell’hamburger atterrato sul campo del Colchester United tutto carico di mistero e diventato subito virale (sì, anche noi non abbiamo un cazzo da fare, però capiteci: non possiamo mica stare a parlare di Brexit tutto il tempo). Invece mi sento come quei due tifosi del Benfica che l’altro giorno sono partiti in macchina da Amadora, in Portogallo, per andare a vedere la loro squadra sfidare l’Eintracht di Francoforte. Peccato che il navigatore li abbia portati nella Francoforte sbagliata, vicino al confine con la Polonia. Partita persa e molti rimpianti da parte dei tifosi del Manchester United quando hanno saputo della loro disavventura: perché il loro navigatore li ha portati a vedere la disfatta della propria squadra nella Barcellona giusta, e non a passare una bella serata a Barcellona Pozzo di Gotto? Probabile che l’algoritmo del navigatore dei due portoghesi fosse lo stesso del supercomputer che aveva previsto Manchester City e Juventus in semifinale di Champions League. Brutto, sporco, cattivo, culone e inafferrabile, grazie a Dio il calcio è ancora in grado di smentire le previsioni dei big data dello sport: ho letto articoli in cui non ci si poteva spiegare come statisticamente l’Atalanta non avesse segnato contro l’Empoli pur avendo tirato così tanto in porta. Invito gli analisti al mio pub lunedì sera, li sfido a spiegarmi come faccia a non crollare ingurgitando tutte quelle Guinness. E soprattutto a risultare più lucido di loro quando sono sobri.

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