Claudio Ranieri, la pensione può attendere
Due partite per giocarsi un posto in Champions League poi il tecnico giallorosso dirà addio alla Roma: non vuole restare a fare il supervisore, lui vuole continuare ad allenare
Due partite per giocarsi un posto in Champions League, due partite per dirsi addio. Perché Claudio Ranieri mantiene quello che dice, non parla mai a vuoto. E a Roma, nella “sua” Roma, non vuole restare a fare il supervisore, con il rischio di ritrovarsi nel ruolo tanto altisonante, quanto inconcludente, di padre nobile. Lo ha ribadito dopo aver battuto 2-0 la Juventus e dopo aver tenuto i giallorossi in piena corsa per l'obiettivo minimo di stagione, un piazzamento tra le prime quattro. Ranieri non vuole un incarico da dove dispensare consigli. Vuole continuare ad allenare, un mestiere che lo diverte e che lui attraversa apparentemente impassibile, dal più grande fallimento al più inaspettato trionfo, come gli accade nel giro di un anno e mezzo, tra 2014 e 2016.
Il 15 novembre 2014 viene esonerato dalla Grecia, che lo aveva chiamato pochi mesi prima con l'obiettivo di qualificarsi all'Europeo. Un obiettivo che fallisce per mano delle isole Fær Øer, una nazionale che non è neppure una nazione e che in pochi sanno indicare su una cartina geografica. Vincono 1-0 e lo fanno in trasferta, umiliando la Grecia davanti ai propri tifosi. Una sconfitta che segna la fine dell'esperienza di Ranieri e, in molti pensano, anche della carriera. Per questo, quando il Leicester gli affida la panchina nel 2015, i commenti malvagi si sprecano e i bookmaker si divertono: Ranieri diventa il candidato principale al primo esonero mentre l'eventuale titolo della squadra viene inserito nella categoria degli eventi impossibili, tipo il sempre caro avvistamento del mostro di Loch Ness.
Ma il calcio, come hanno insegnato le ultime semifinali di Champions League, non è una scienza esatta. E il Leicester diventa la follia con cui fare i conti. Una squadra di scarti e di ex dilettanti si trasforma in campione d'Inghilterra, Ranieri mette a segno un'impresa incredibile e destinata a restare tale in una carriera avviata nel 1986 e passata attraverso diciassette squadre. Certo, ci sono successi come il Cagliari degli inizi, con la doppia promozione dalla C alla A, e la Fiorentina portata a sollevare addirittura due trofei in un solo anno (la Coppa Italia e la Supercoppa del 1996). E poi il Valencia guidato alla qualificazione in Champions League, la finale della stessa competizione sfiorata con il Chelsea nel 2004, eliminato al penultimo passo dal Porto di José Mourinho che, dopo 199 partite, lo avrebbe sostituito a Londra a fine stagione. Così come ci sono le delusioni, su tutte l'esonero nel 2009 a due giornate dalla fine per mano della Juventus, società che fatica tantissimo a licenziare un allenatore prima che il campionato sia concluso.
Leicester è però destinata a rimanere unica, anche se Ranieri si immagina un altro viaggio e altre vittorie al termine della serie A. In Francia, nel 2017, gli avevano dato del vecchio, cercando di impedirgli di allenare il Nantes perché aveva superato i 65 anni. Lui aveva risposto con la solita cultura del lavoro e con un campionato più che dignitoso. E a Roma sta ridando smalto al soprannome affibbiatogli al Chelsea: tinkerman, ovvero l'aggiustatutto. Perché Ranieri è fatto così, un artigiano che si arrangia con quanto gli viene messo a disposizione da parte delle società. Il presidente James Pallotta lo aveva chiamato per rimettere in ordine un ambiente e una squadra che si stavano perdendo, tra esonero del tecnico (Di Francesco) e divorzio dal ds (Monchi). Lui ci sta riuscendo, grazie anche alla innata conoscenza delle cose romane, inevitabile per uno nato a San Saba, cresciuto al Testaccio e che ha la maglia giallorossa come seconda pelle. E che, per tutto questo, ha già capito che il ruolo di padre nobile è meglio lasciarlo ad altri.