Com'è cambiata l'Italia vent'anni dopo l'ultimo Mondiale femminile
È dalla Coppa del mondo del 1999 che le azzurre non riuscivano a qualificarsi a una fase finale. Era quella una Nazionale che dipendeva dai gol di Patrizia Panico. Ora è tutta un'altra storia
Incontrarsi di nuovo vent’anni dopo non è mai un’esperienza indolore. Si può correre il rischio di non riconoscersi, se va bene, o di trovarsi talmente cambiati da non intendersi più, da scompigliare e incrinare anche il ricordo che si aveva, se va male.
Incontrarsi di nuovo vent’anni dopo, a volte, diventa indispensabile. Soprattutto quando per anni e anni lo si è sperato, poi inseguito, infine pianificato nei minimi dettagli, lavorando a lungo per ottenerlo. L’appuntamento sarà a Valenciennes il 9 giugno, alle 13, allo Stade du Hainaut, davanti a 25mila persone. È a quel giorno e a quell’ora che la nazionale italiana di calcio femminile riscoprirà cosa vuol dire trovarsi faccia a faccia con il Mondiale.
Patrizia Panico nel 2004 (foto LaPresse)
Era dalle notti americane di Usa 1999, dai gol di Patrizia Panico (ancora oggi la donna con più presenze e gol con la maglia della nazionale) che l’Italia non riusciva ad arrivare in una fase finale della Coppa del mondo. E prima di allora aveva conquistato il pass buono per giocarsi la coppa soltanto nella prima edizione del torneo, Cina 1991, grazie ai gol di Carolina Morace, la prima grande campionessa italiana. Fino alla competizione cinese il calcio femminile aveva avuto difficoltà a trovare spazio, un po’ per i pregiudizi interni a uno sport considerato allora prettamente maschile, un po’ per un numero di atlete non sufficiente a generare interesse mediatico. Negli anni Ottanta ci avevano provato con il Portpier 81 International Ladies Football Festival, un torneo per nazionali a inviti. Si giocava in Giappone, c’erano, con la selezione casalinga, Italia, Danimarca e Inghilterra. Vinsero le azzurre trascinata da Elisabetta Vignotto, che a San Donà di Piave iniziò a giocare a calcio per strada con i ragazzi e poi anche nei campi veri, dribblandone molti, segnando a tutti.
L’Italia per molto tempo si è limitata ad aspettare una nuova Vignotto, una nuova Morace, una nuova Panico, insomma una campionessa capace di riportarla in alto, di risollevarne le sorti, di spazzare via, magari nascondendoli sotto il tappeto, i problemi strutturali di un movimento che non decollava e non riusciva a catalizzare l'interesse. Poi, fortunatamente, hanno capito che così non poteva andare, che non è dalla speranza che nascono i risultati, ma dalla programmazione.
La decisione della Federazione calcio nel 2016 di permettere ai club professionistici maschili di acquisire società dilettantistiche femminili e la decisione dell’ex Commissario straordinario della Figc Roberto Fabbricini di portare il calcio femminile sotto il diretto controllo della Federazione, vale a dire al professionismo – riforma che la Corte d’appello federale aveva bloccato accogliendo il ricorso della Lega Nazionale Dilettanti che aveva organizzato i campionati sino al 2017, ma che il Coni ha confermato – hanno permesso al movimento di crescere e di poter competere anche a livello internazionale.
Rispetto a vent’anni fa le tesserate in Italia sono aumentate del 111 per cento (dati Uefa), arrivando a quota 23.903. E sono cresciute ancor più nelle categorie giovanili: le calciatrici tra gli undici e i dodici anni sono 2.664 con un’incidenza sulla popolazione italiana di pari età dello 0,5 per cento, mentre nella fascia tra i 5-7 anni sono 1.559 (0,2), tra gli 8-10 anni 2.793 (0,3), tra i 13-14 anni 2.483 (0,4) e tra i 15-16 anni 2.392 (0,4). Considerando che 20 anni fa tra i 13 e i 16 anni nel nostro paese giocavano a calcio (tesserate) soltanto 1.297 ragazze, l’incremento è consistente.
Tutto il lavoro fatto in questi anni ha permesso alla Nazionale di non dover più sperare nella nascita e nella crescita di una fuoriclasse, di poter contare su altro, sull’organizzazione, sulla pianificazione e la gestione delle risorse a disposizione. Partirà per la Francia, agli ordini del commissario tecnico Milena Bertolini (foto sotto), un gruppo di ragazze ben assortito, con qualche perla, ma soprattutto con una qualità media mai così elevata in passato.
E a far capire alle azzurre l’effetto che fa calciare un pallone nella competizione più importante al mondo ci penserà l’Australia, prima rivale del gruppo, il C, quello che comprende anche Giamaica e Brasile. Per Bertolini “abbiamo 14 squadre più forte di noi, noi siamo in terza fascia e davanti abbiamo Australia e Brasile ma proveremo a passare il turno. Il gruppo è unito ed è un valore aggiunto nei momenti di grande difficoltà. Noi rispetto ad altri Paesi abbiamo qualcosa in meno ma le ragazze sono riuscite grazie alla compattezza ad annullare il gap con le altre Nazioni. Nel mio immaginario penso che questo sarà un Mondiale molto bello, una festa. Penso che questi siano aspetti bellissimi”. Vedremo.