L'addio di Gattuso e la fine del Milan operazione nostalgia
Oltre a Leonardo se ne va anche l'allenatore dei rossoneri. I piani dell'ad Gazidis e la lezione di Herbert Chapman: "Una rivoluzione comporta l'eliminazione dei sentimenti"
Quando nel 1925 Herbert Chapman si sedette sulla panchina dell'Arsenal, dopo aver vinto due campionati inglesi e una coppa d'Inghilterra con l'Huddersfield Town, fu chiaro nel dire che ogni rivoluzione prevedeva un unico comandamento: "L'eliminazione dei sentimenti". I Gunners all'epoca erano una squadra che mai aveva vinto alcunché, che si era barcamenata tra il centro e la bassa classifica per decenni, che al massimo esultava nell'arrivare prima tra le compagini londinesi. L'allenatore promise che entro cinque anni avrebbe cambiato tutto, che sarebbe riuscito a trasformare i biancorossi in una formazione vincente. Non gli diedero retta in molti. I pochi che lo presero sul serio criticarono il fatto che in tre anni la maggior parte dei calciatori a cui i tifosi si erano affezionati cambiarono maglia. "Mi criticano? La nostalgia non può avere a che fare con il calcio. Il pallone si dovrebbe basare soltanto sul presente e avere un occhio al futuro. Il passato è un'idiozia che riempie la testa degli stolti".
Il faccione rubicondo di Herbert Chapman, Ivan Gazidis l'ha visto ogni giorno per nove anni mentre si muoveva nella sede dell'Arsenal. Delle sue parole se ne è ricordato quando ha lasciato Londra per assumere, il 5 dicembre 2018, il ruolo di amministratore delegato e direttore generale del Milan. A volerlo è stato Paul Singer, fondatore dell'Elliott Management Corporation, l'hedge fund che ha rilevato il 21 luglio 2018 la proprietà dei rossoneri dopo che Yonghong Li non è riuscito a ripagare il prestito che il fondo gli aveva concesso per acquistare la società da Berlusconi. Elliott aveva puntato su un Milan operazione nostalgia affidando a Leonardo il ruolo di direttore generale dell'area tecnico-sportiva e a Paolo Maldini quello di direttore dello sviluppo strategico area sport, nonché confermando Gennaro Gattuso in panchina.
Ivan Gazidis con Paolo Maldini e Leonardo nel dicembre 2018 (foto LaPresse)
Nemmeno un anno dopo, la triade dei ricordi s'è già rotta. Leonardo abbandonerà i rossoneri. Gattuso farà altrettanto. La ricostruzione fatta da molti quotidiani ha messo in evidenza che gli addii sarebbero dovuti a differenze di vedute con la dirigenza. L'allenatore avrebbe voluto giocatori di esperienza internazionale per fare il salto di qualità, Gazidis avrebbe risposto picche, sostenendo che la società vorrebbe ripartire dopo il quinto posto in campionato da una formazione composta per lo più dai giovani. Difficile pensare che le motivazioni delle dimissioni di Rino siano basate soltanto su questo. Gattuso era ritornato nella società con cui aveva giocato per tredici stagioni per allenare la primavera. Si era ritrovato alla guida della prima squadra dopo pochi mesi in seguito all'esonero di Vincenzo Montella e negli ultimi diciotto mesi è riuscito a conquistare un sesto e un quinto posto in campionato, qualificandosi così in entrambi i casi in Europa League. Mesi complicati, risultati altalenanti ma comunque positivi per una compagine che per tre anni era rimasta fuori dalle competizioni europee. Mesi nei quali l'allenatore ha comunque avuto il merito di puntare su diversi ragazzi cresciuti nel settore giovanile.
"Decidere di lasciare la panchina del Milan non è semplice. Ma è una decisione che dovevo prendere. (...) La mia è una scelta sofferta, ma ponderata. Rinuncio a due anni di contratto? Sì, perché la mia storia col Milan non potrà mai essere una questione di soldi", ha detto a Repubblica.
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Un addio sofferto, perché per chi con la maglia numero otto rossonera ha corso e lottato per oltre un decennio, il Milan non poteva che essere una questione di cuore. La stessa che l'ex presidente Silvio Berlusconi mise al centro del progetto che definì "il Milan ai milanisti" iniziato nei primi anni Duemila. Fu la naturale conseguenza alla sua rivoluzione di tre lustri prima, quando acquistò il club rossonero e cambiò per sempre le sorti dei casciavìt. Quelli che Nereo Rocco sintetizzò in un "noi abbiamo la passione, gli altri (l'Inter) i soldi". Quelli che "il rossonero è sentimento, un filo indissolubile con il passato", detto da Cesare Maldini. Il Cav. negli anni Ottanta eliminò tutto questo. Puntò su Arrigo Sacchi, su un trio di campioni olandesi e su una squadra formata da ragazzi dal grande futuro ma non cresciuti in rossonero. Poi tornò indietro sulle sue decisioni, riabbracciò la storia, si fece conquistare dal sentimentalismo. Continuò comunque a vincere per un lungo periodo.
Una questione di cuore che vuole eliminare ora Gazidis. Perché quando bisogna ripartire quasi da zero, tra i paletti imposti dal fair-play finanziario dell'Uefa, la ricostruzione deve essere basata sui numeri, non su quello che è stato. Forse perché davvero "la nostalgia non può avere a che fare con il calcio". Nemmeno in un paese dove i legami con il passato, più o meno recente, hanno un peso più che altrove. Una ricerca effettuata dall'Università di Bologna ha rilevato che il nostro paese è il più sensibile in Europa al nostalgia-marketing, ossia la strategia che punta sui ricordi per riproporre e vendere oggetti nuovi ma che si richiamano al passato.
Gattuso negli ultimi diciotto mesi è stato una zattera di carattere alla quale molto spesso i giocatori si sono aggrappati. Ha commesso errori, certamente, ha avuto però l'onestà di ammetterli, di ripartire, di condurre il Milan lì dove doveva essere per forze in campo, a lottare cioè per un posto in Europa. Ed è riuscito a centrarla sempre. Si è comportato da milanista, a volte da tifoso. La curva al termine della partita vinta contro la Spal ne ha applaudito la tempra.
I suoi saluti chiudono, salvo ripensamenti, un'epoca. Il Milan non sarà più dei milanisti.