La parabola perfetta di Francesco Lodi
Nel derby tra Catania e Trapani ha siglato un altro gol da cineteca. Storia di un artigiano del calcio italiano
“Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione”. La definizione del Perozzi di “Amici miei” è perfetta per raccontare quanto offerto da Francesco Lodi. Lo avesse proposto Lionel Messi oppure Cristiano Ronaldo avremmo visto e rivisto le immagini infinite volte, avremmo letto entusiaste articolesse, punteggiate di gridolini di eccitazione. Ma parliamo della Serie C italiana, che di spazi ormai non ne trova più a livello nazionale sulla stampa anche specializzata, mentre le riprese televisive sono materia per inguaribili appassionati che si abbonano alle piattaforme streaming di riferimento.
Per questo vale la pena andare su internet e cercare il filmato di Catania-Trapani, andata delle semifinali dei playoff. Un derby siciliano che ha portato allo stadio 20.000 (sì, è giusto: 20.000) persone, un pubblico degno di una media da serie A. Padroni di casa sull'orlo della disperazione a un quarto d'oro dalla fine, sotto di due reti e con il morale a terra. È il momento in cui iniziano le sostituzioni tattiche: punizione per il Catania poco oltre la propria metà campo, nel Trapani entra Evacuo che commette l'errore di sottovalutare Lodi. Il centrocampista è sulla palla, l'avversario non lo disturba neppure con un accenno di barriera, mentre il portiere Dini è fuori dai pali. Lodi non ci pensa due volte, non lascia a Evacuo il tempo di capire dove si trovi e va con il suo sinistro da una cinquantina di metri, all'altezza del dischetto di centrocampo. Una parabola che, ovviamente, si conclude in porta per la rete del 2-1, che diventa 2-2 finale con il rigore che lo stesso giocatore si procura e trasforma, mantenendo vive le speranze del Catania nella corsa verso la serie B. Fantasia, intuizione, decisione e volontà d'esecuzione, per l'appunto.
È un talento straordinario quello di Lodi per i calci piazzati, un talento che coltiva fin da bambino. Nasce a Napoli, nasce nel 1984, l'anno in cui sbarca Diego Maradona in azzurro. E, come ogni figlio della città che si rispetti, cresce nel mito dell'argentino. Lodi lo onora con le punizioni, che studia con i filmati. Un allenamento teorico cui segue quello sul campo, con due pomeriggi alla settimana dedicati alla cura della traiettorie: “Nessun segreto - racconta un giorno -. Curo la postura e studio la barriera, quello è il mio modo di prepararmi”. Tutti sanno come calcia, con quel sinistro, in pochi sanno opporvisi. Lo racconta una classifica stilata nel 2018, quella dei giocatori più letali da fermo negli ultimi dieci anni. Comanda CR7, seguono Messi e Miralem Pjanic, poi c'è lui, Lodi. Davanti a un maestro riconosciuto in materia come Andrea Pirlo.
Studio ma anche Dna. Lodi diventa grande a Frattamaggiore, alla parte opposta di Napoli c'è Castellammare di Stabia, dove è nato Fabio Quagliarella, l'attaccante dalle traiettorie impossibili. Ancora più vicina è Pomigliano d'Arco, dove è cresciuto Antonio Di Natale, altra punta che sfidava le leggi di gravità con le sue conclusioni. Lodi, con Di Natale, ha in comune l'Empoli, che da queste parti sa sempre ben pescare. I toscani lo prendono bambino, quando ha undici anni, e lo fanno diventare professionista nel loro vivaio. Di qui parte una carriera che, forse, non ha mantenuto le attese in quanto a rendimento. Prezioso l'incontro con Vincenzo Montella, che a Catania lo trasforma in regista arretrato da trequartista che era, complicato quello con Gian Piero Gasperini al Genoa, per visione di gioco e per caratteri contrapposti. Prima e dopo tanta provincia (Vicenza, Frosinone, Udinese e Parma) ma mai la ricerca convinta da parte di una big. Fino al ritorno a Catania nel 2017. Qui Lodi aveva vissuto le stagioni più felici, qui a 35 anni disegna ancora parabole, un artigianato su palla da fermo che si sta perdendo in Italia.
Il Foglio sportivo