Ragazze, si deve parlar bene del calcio ora?
Sfogo semiserio di una che non ha mai distinto un portiere da un guardalinee di fronte all’impazzimento generale per il Mondiale femminile in Francia: “Posso dire chissenefrega?”
Le abbiamo tifate tantissimo, le azzurre. E, prima di loro, più in generale, abbiamo tifato le calciatrici, tutte, anche di squadre che non sapevamo esistessero, come il Tavagnacco – un pezzo di Friuli che chissà dove sarebbe rimasto senza di loro – sperando sempre che facessero bene abbastanza da annientare l’idea che per nascere sotto il segno del calcio si debba esser maschi, e che una ragazza coi pantaloncini sia una femmina a metà. Non aveva a che fare con il calcio, naturalmente, il nostro tifo, né era una testarda questione di principio: rientrava in una sacrosanta, quotidiana guerra per l’equiparazione degli accessi a tutto. Avremmo mai detto che a un certo punto le azzurre si sarebbero qualificate ai Mondiali e gli azzurri si sarebbero fatti far fuori prima ancora di cominciare? Forse no, neppure ci pensavamo, perché quando si briga a lungo il risultato finale smette di contare, e capita come in certi viaggi in treni scomodi che però attraversano pezzi di pianeta mozzafiato: il percorso diventa più bello dell’arrivo, che è una cosa che ha scritto anche Oriana Fallaci. E invece adesso eccole lì, le italiane della Nazionale, pronte per cominciare dopo un estenuante, a volte grottesco viaggio al termine dei Tavecchio (e Collevecchio, e compagni di scuola incrudeliti dal lavoro in banca). Che soddisfazione! Una prova così vasta di una cosa tanto piccola e normale: le donne possono fare tutto e, soprattutto, di più. Non che non lo sapessimo già, avendolo sperimentato nei migliori anni della nostra vita, quando eravamo parecchio minorenni e guardavamo la tv con mamma e papà, alla sera, e lei ci dava la pappa e cullava e ninnava e alfabetizzava mentre lui russava con la testa reclinata come gli sconosciuti sul tram.
Illustrazione di Susanna Gentili
E adesso? Adesso tocca tifare ancora, di nuovo, meglio, tifare il calcio, mica le ragazze, che tanto in campo sono indistinguibili dai ragazzi, specie per noi che non abbiamo mai distinto un portiere da un guardalinee (ma a cosa serve? E perché passa la vita a guardare linee che, tanto, non si spostano?). Insomma, ragazze, adesso il Mondiale femminile ci toccherà seguirlo. Non solo: ci toccherà anche parlarne. Non potremo cavarcela come quando giocavano i maschi e noi alzavamo il sopracciglio destro e dicevamo “ma che volgarità”, oppure, per la pace domestica e anche per l’amor sacro patrio e profano, ci dipingevamo la faccia di blu dipinto di blu, ordinavamo pizza e birra (moltissima birra), confidando che il Brasile facesse il Brasile sin da subito e ci battesse 24 a zero e ci facesse retrocedere al golf (non dite di non averlo pensato, suvvia, eravamo tutte vive e già adulte quando le riviste femminili dispensavano consigli su come trascorrere 90 minuti sedute sul divano davanti a un Italia-Nicaragua sembrando partecipi e coinvolte, senza che a nessuno venisse il sospetto che stavamo producendoci in spericolati esercizi contro il prolasso vaginale). Stavolta dovremo tifare, e con convinzione. Perché il nostro compito non s’è esaurito, anzi: è appena cominciato. Lo spot della Nike su Francia 2019 dice: “Non cambiare i tuoi sogni. Cambia il mondo”. Ce l’ha con noi, nessuna si senta esclusa. Per tener zitti i Collevecchio non basterà una partecipazione all’ottavo Mondiale di calcio femminile, neanche in caso di vittoria. Dovremo dimostrare che ci abbiamo creduto per godercelo, e bandire per molti anni (o almeno per i prossimi due mesi) le vituperazioni che tanto ci divertivamo a indirizzare al calcio maschile. Sarà dura. Quando si realizzano, presto o tardi, i sogni finiscono sempre col diventare una lunga sequela di pomeriggi sul divano, a fantasticare su qualcos’altro di irraggiungibile.
Quanta ragione aveva Pascal, quando diceva che gli uomini sono infelici per una ragione semplice e banale: non sanno restare tranquilli in una stanza.
Per tenerci esagitate, e mantenerci fiere, e leali, e fedeli, cioè tutte cose che per una Nazionale di calcio maschile siamo state orogliose di non essere, le singole società hanno investito molto in spot motivazionali che dicono una e una cosa soltanto: in ballo c’è molto di più di una coppa, vi garantiamo che queste partite non saranno noiose come le altre, assisterete a uno spettacolo inedito, epico, totale, che vi farà dimenticare la nostalgia per Il Trono di Spade e, quando sarà finito, vi ridurrà alla dipendenza e diventerete tutti e tutte tifosi del Tavagnacco femminile. Ragazzi, abitanti di questo pianeta, qui si gioca per cambiare il mondo e renderlo un posto nel quale a tutti i sogni sia garantito diritto di circolazione a prescindere dal sesso del sognatore. Lo spot della Nazionale italiana è uno spin off dell’Amica Geniale. Quello del Canada un ballo delle debuttanti nel palazzo d’Inverno del matriarcato. Quello della Francia un Leone d’Oro alla Resilienza. Amici maschi ci dicono che anche per gli altri Mondiali è stata sempre seminata questa retorica da ultimo ballo dell’umanità, e chissà se non ce lo ricordiamo perché l’amore non si dimentica ma il dolore sì, come diceva Nora Ephron, o perché eravamo libere di cambiare canale bofonchiando non appena vedevamo un essere umano calciare una palla infuocata con sottofondo wagneriano (bisogna ammettere che le musichette scelte per gli spot femminili sono assai più carine, un po’ Yann Tiersen e un po’ Billie Eilish). E per chi di noi avesse il cuore di pietra che si fa porosa solo all’accenno del ritornello di Mila e Shiro, ci sono le Barbie, che sono state l’infanzia di tutte (di tutti: eravamo gender fluid before it was cool). Se noi attempate sappiamo che sostenere e tifare le azzurre ci garantirà l’indulgenza plenaria e che a esprimere perplessità o, peggio, a dire che così come ce ne fregavamo del calcio maschile ce ne freghiamo di quello femminile (non sarebbe cristallina parità anche questa?) ci si garantisce l’impresentabilità sociale per un decennio almeno, le molto più giovani di noi, invece, all’età in cui noi venivamo istigate con metodi morbidi (la Barbie da sera, da giardino, da piscina, da Hollywood Boulevard) a diventare tutto meno che calciatrici, vengono adesso dotate delle medesime bambolette, anche se sfrondate di certi inaccettabili canoni estetici, che anziché a bere cocktail e fare shopping, le allenano a diventare bomber o astronaute o avvocatesse. Non molti mesi fa, la Mattel ha messo in commercio Barbie Sara Gama, cioè la miniatura barbierizzata della capitana della nostra Nazionale. In occasione di Francia 2019, la FIGC e Barbie hanno regalato a cinque bambine un pomeriggio di allenamento con alcune Azzurre (Sara Gama, Lisa Alborghetti, Cristiana Girelli, Laura Fusetti, Stefania Tarenzi).
Chi di noi, vecchie ciniche barbose prepotenti allevate a pane e Candy Candy e forse proprio per questo destinate alla sfiga sentimentale perenne, se la sente di tirarsi fuori da tutto questo, ora, e sostenere che non c’è niente di divertente in 22 individui che rincorrono una palla per 90 minuti? Gli stessi amici maschi di cui sopra ci dicono che anche il rugby soffre della stessa censura a fin di bene: abbiamo una Nazionale di pippe, ma nessuno può dirlo, se non a spese della propria bella eticità. Direte che il calcio femminile ha i numeri (e noi ne siamo contente se li ha davvero), tuttavia l’ultimo pienone di partita c’è stato per una Juventus-Fiorentina che ha fatto 40 mila spettatori allo Juventus Stadium, e l’ingresso era libero. Intendiamoci: noi speriamo che le Azzurre vincano i Mondiali e pure i planetari, che il pubblico italiano riempia gli stadi quando giocano le donne e che il commissario Montalbano faccia meno share di Milan femminile-Tavagnacco femminile; abbiamo molte amiche che giocano a calcio, abbiamo visto molti matrimoni nascere tra le stecche dei biliardini. Tuttavia, poiché fatichiamo già parecchio a nutrire fiducia nello spinning e nello yoga come pratiche che risanano il benessere nostro proprio e quindi del cosmo intero, poiché né a canzoni né a partite si fan rivoluzioni, vorremmo essere sottoposte a una cura Ludovico meno pressante di questa, vorremmo non sentirci delle misogine se non accenderemo la tv quando gioca l’Italia, vorremmo non doverci trovare a cena con uno che ci parla di fuorigioco e, al nostro primo sbadiglio, ci dica come ci hanno detto finora quelli che volevano pagare alla romana (“avete voluto la parità?”), vorremmo insomma continuare a poter ignorare il calcio, ora che è finalmente diventato completo, e quindi più bello, perché giocato da chiunque abbia voglia di giocarlo.
Cara Nike, non puoi davvero chiederci di cambiare il mondo affinché nessuno cambi i sogni: preferiamo lasciare il mondo così com’è e poter cambiare sogni in continuazione, ci sembra più avventuroso così, ci piace la possibilità di fallire, e incaponirci. Sarà anche vero che non siamo dolcemente complicate, ma mobili sì, mobilissime, e non c’è modo di adattare i tempi di cambiamento del pianeta terra ai ritmi, spesso impazziti, delle nostre ambizioni.
P.S. Se nel presente che abbiamo cambiato per non far cambiare i sogni delle bambine ribelli ci tocca guardare Bobo Vieri che, vestito coi bermuda stretti da agente di commercio, si scotta i piedi in spiaggia, piega le camicie e riempie il bagagliaio (è l’ultima pubblicità di Gillette, che in America si scusa per anni di spot che ispiravano mascolinità tossica, ma in Italia punta pur sempre su un rassicurante: “Shave like a bomber”), quasi quasi preferiamo tornare a vivere in Mad Men. E questo è il lato brutto. Poi, però, c’è quello bello: il 14 giugno, la Casa Internazionale delle Donne di Roma proietterà Italia-Giamaica (e siccome è pur sempre il posto che è, a seguire ci sarà un invitantissimo dibattito su calcio e donne – grazie al cielo c’è un bar per rifornirsi di birre). E sapete, insomma, son quelle che cose che fanno unità, e audacia, e piccole rassicuranti rivoluzioni: quelle che è bellissimo vedere fare agli altri, e alle quali non parteciperai mai perché grazie al Cielo non hai amiche che ti invitano a fare un aperitivo alla casa delle Donne mentre una partita dei Mondiali passa sul maxischermo dove un tempo passavano i seminari di Luce Irigaray.
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