Viva il nuovo San Siro (derby spericolato). Ma salvare anche il vecchio si può
Anche senza nostalgie, si tratta di uno degli impianti più belli e famosi al mondo. E se ne facessimo una "Scala del rock"?
Milano. Giocare due derby nella stessa città nello stesso giorno è un’impresa sportiva che solo a degli spericolati può venire in mente. Se poi i top player sono la politica, le istituzioni internazionali e gli investimenti privati, il tasso di spericolatezza triplica. Ma Milano è Italia, ama il rischio. Dunque ieri a Losanna, dove il Comitato olimpico internazionale era riunito per assegnare le Olimpiadi invernali del 2026 con gran delegazione italiana, i milanesi hanno giocato due derby. Il primo, le Olimpiadi, è stato vinto.
L’altro, quello per la costruzione del nuovo stadio di Milano, di proprietà di Inter e Milan che sorgerebbe a fianco del vecchio e onusto di glorie Meazza, di proprietà comunale, è appena iniziato e la faccenda sarà lunga, in un posto come l’Italia. Ma le due società calcistiche ieri hanno giocato all’attacco, aggressività da calcio totale. Dopo anni (decenni) di stasi e pasticci, l’idea dei due club di costruire un impianto in società abbandonando (e plausibilmente abbattendo) il vecchio era emersa come “decisione presa” in primavera. Ieri a Losanna il presidente del Milan, Paolo Scaroni, ha dichiarato: “Tutto procede, facciamo un nuovo San Siro accanto al vecchio, nella stessa area della concessione. Il vecchio verrà buttato giù e al suo posto ci saranno nuove costruzioni” (dopo l’assegnazione delle Olimpiadi, ha precisato che l’abbattimento non è questione di pertinenza dei club, ma questa è cronaca). L’ad dell’Inter, Alessandro Antonello, ha confermato sul nuovo stadio: “Assolutamente”.
Al sindaco di Milano lo schema di gioco non era per nulla piaciuto: si stava giocando le Olimpiadi, in un contesto internazionale in cui oggi l’Italia è quanto mai isolata e destituita di credibilità. E nel dossier di candidatura il punto fermo è che la cerimonia di apertura sarà fatta a San Siro. Ovviamente, potrebbe anche avvenire nell’impianto nuovo (il meraviglioso stadio del Tottenham, che pure ha avuto iter complesso, è stato costruito in quattro anni) e Scaroni ha detto: “Nel nuovo stadio sarebbe bello”. Ma siamo pur sempre in Italia, seppure a Milano.
Messe in tasca le Olimpiadi, il vero derby del futuro è San Siro. Il tuffo al cuore che viene a ogni sportivo e a ogni milanese, all’idea di veder tirar giù con le ruspe il mitico Catino, è sacrosanto. Ma bisogna pensare a ciglio asciutto. Nel nostro piccolo fogliante, abbiamo più volte detto che un nuovo stadio serve, va fatto: anzi erano meglio due. Privati, meglio ancora. Ne va del calcio italiano in Europa. E chi oggi, come la Lega e il centrodestra milanese, per motivi di bassa politica, strilla “no alla città privatizzata” è più miope e deleterio dei Cinque stelle.
Però ci sono i fatti, sempre poco maneggevoli. A Beppe Sala, e non solo a lui, il progetto Inter-Milan non piace per motivi che vanno valutati. Il primo, arcinoto, è che per legge un comune non può decidere di perdere un asset del suo patrimonio immobiliare (nonché fonte di reddito) senza contropartite economiche da mettere a bilancio. Ma le società non hanno ancora presentato progetti né parlato di valori e contropartite economiche. Questo, al momento, porta Sala a irrigidirsi: “Ci vorrà tempo. E poi alla fine siamo padroni dello stadio. Questa è la fine della storia”, ha detto rimandando il resto al futuro. E una contrapposizione così, va detto, è il peggio che a Milano – città e squadre – possa capitare.
C’è un altro aspetto da valutare a mente fredda. Come ha detto Scaroni, “bisogna presentare la domanda, è una procedura complicatissima”. Perché non è nemmeno detto che sul suo stadio di proprietà il comune possa decidere autonomamente. Esiste il rischio che qualcuno chieda l’istituzione di un vincolo architettonico (e con il Mibac che abbiamo…) e tutto diventerebbe complicato. Ma ai club di Milano un nuovo stadio di livello europeo serve, su questo non può nascondersi nemmeno Sala. Pena affondare due asset sportivo-economici importanti della città. Infine c’è una questione che nessuno ha ancora avuto il coraggio di porre, ma è affascinante: è proprio necessario – da un punto di vista tecnico e progettuale – abbattere San Siro? Anche senza nostalgie, si tratta di uno degli impianti più belli e famosi al mondo. La sua architettura brutalista ne fa un edificio pubblico iconico del Novecento, con pochi paragoni al mondo e nessuno in Italia. Quando lo si chiama la “Scala del calcio”, o persino “l’altro duomo”, non è solo campanilismo. Difficile dire se sia possibile conservarlo (riportandolo allo splendore dei due anelli) riducendone la capienza e trasformandolo in una arena civica, per la musica (la scala del rock?) e altro ancora. Ci vogliono soldi, progetti e un coraggio urbanistico di rischiare importante. Un’idea probabilmente impossibile, in un paese come l’Italia, persino per una città come Milano. Ma è un’idea all’altezza di un paese come l’Italia, di una città come Milano.