Michele Marcolini, ordine e follia al servizio del Chievo
Come da tradizione per i clivensi, una vecchia bandiera è richiamata alla base per risollevare la squadra dopo la retrocessione
Un contesto sovranista, quello del Chievo. La tendenza è guardare poco al di fuori dei confini di quartiere quando c'è da scegliere per ruoli dirigenziali e tecnici. Si va su chi è stato giocatore gialloblù, tenendolo in casa quando decide di smettere con il pallone. Come Sergio Pellissier, che ha chiuso a maggio per sedersi dietro la scrivania da direttore sportivo. Una tradizione che ha avuto un esempio sommo in Giovanni Sartori, oggi all'Atalanta, e per vent'anni uomo mercato del Chievo, dopo aver concluso lì la carriera da attaccante nel 1989.
Lo stesso vale per gli allenatori. Nomi come quelli di Eugenio Corini, Rolando Maran, Maurizio D'Angelo e Lorenzo D'Anna, tutta gente che prima ha corso sul campo per il Chievo e che poi è transitata sulla panchina. Come accadrà a Michele Marcolini, scelto per rimettere in carreggiata una squadra tornata in serie B. Un'impresa che gli era già riuscita nel 2008, dopo una retrocessione altrettanto rovinosa, giunta al termine di una stagione che era cominciata addirittura con la Champions League, a seguito di una classifica rimescolata da Calciopoli. Il centrocampista era stato preso nel 2006 dall'Atalanta con la fama di buon giocatore, nipote e figlio d'arte: il nonno Roberto Longoni centrocampista del Savona, papà Antonio invece attaccante. Michele comincia bambino nella vicina Vado, passata alla storia del calcio perché il suo nome apre (anno 1922) l'albo d'oro della Coppa Italia. La svolta a 14 anni, quando lo chiama il Torino, convinto delle qualità di quel ragazzo che in campo spicca non soltanto per la capigliatura rossa. Si propone con visione del gioco, piede solido, coraggio e grande senso del tempo negli inserimenti in area, leader di una squadra che perde la finale Primavera con la Juventus di Alessandro Del Piero nel 1994.
È l'anno in cui comincia la carriera da professionista: Sora, Bari, Vicenza e Atalanta, prima del Chievo. Cinque stagioni in cui il ritorno in A è immediato, prima di salutarsi nel 2011. Anni in cui Marcolini pensava già a inventarsi una carriera da allenatore, apprendendo dai tecnici avuti e passando naturalmente alla panchina nel 2013 al Lumezzane, sua ultima squadra da giocatore. Gli inizi non sono semplici, tra risultati che mancano ed esoneri. La svolta nel 2018 ad Alessandria, quando prende in corsa una squadra partita per il nuovo assalto alla serie B e che invece si trovava sul fondo. Marcolini dà serenità al gruppo, una delle sue doti più apprezzate, e un gioco. Nulla di eclatante, ma rimettendo ordine dove mancava e infondendo le caratteristiche che possedeva sul campo: sacrificio, dedizione, determinazione. E concedendo ai giocatori di classe qualche attimo di follia, sempre necessaria. Come quella dello stesso Marcolini contro il Bologna, il 17 aprile 2011: vede Viviano lontano dai pali e calcia di sinistro da metà campo per la parabola del 2-0 che lancia i veneti verso la salvezza. È il suo ultimo gol in gialloblù.
Libertà che concede ai giocatori dell'Alessandria, venendone ripagato dalla vittoria nella Coppa Italia di categoria e da una eccellente rimonta che vale la qualificazione ai playoff. I piemontesi si presentano da outsider, ma sbagliano l'unica partita della gestione Marcolini, perdendo 3-1 in casa con la FeralpiSalò dopo aver vinto 3-2 all'andata. L'eliminazione, e i piani di ridimensionamento, portano al divorzio. Al tecnico si aprono le porte della B, con la chiamata dell'Avellino. Porte che subito si chiudono quando la società irpina viene cancellata per inadempienze finanziarie. Marcolini resta alla finestra, accetta la chiamata di un AlbinoLeffe in piena crisi, in 26 giornate non solo centra la salvezza senza spareggi, ma sfiora i playoff. Ora la possibilità di partire da inizio stagione e di farlo in una società e in una città che conosce come se stesso. Sono condizioni ideali per affrontare la prima avventura personale in serie B. Per tornare a casa, a Bergeggi vicino a Savona, ci sarà tempo.