Il cuore pulsante delle Dolomiti
Gli 80 anni degli Scoiattoli, il gruppo di scalatori di Cortina che ha aperto vie impossibili sulle montagne e conquistato il K2. L’amicizia che resiste e la memoria delle imprese sulla roccia
È un anno di grandi anniversari questo, lo scorso 26 giugno si è festeggiato il decennale della proclamazione con la quale le Dolomiti sono state iscritte nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Celebrazione arrivata al momento giusto, all’indomani dell’assegnazione a Milano e Cortina dei Giochi Olimpici invernali 2026. Una grande occasione per il territorio dolomitico che il primo luglio festeggia anche l’ottantesimo anniversario del Gruppo Scoiattoli di Cortina, quegli arrampicatori non professionisti che si sono distinti per le loro imprese tanto da farli percepire a molti come degli eroi.
“Uno per tutti e tutti per uno” è il loro motto, scelto per sottolineare come il forte legame di amicizia stia alla base dell’unione dei dieci fondatori in questo gruppo: Albino Alverà (Boni), Silvio Alverà (Boricio), Romano Apollonio (Nano), Angelo Bernardi (Alo), Ettore Costantini (Vecio), Siro Dandrea (Cajuto), Giuseppe Ghedina (Tomasc), Luigi Ghedina (Bibi), Bortolo Pompanin (Bortolin), Mario Zardini (Zesta).
Domenica 30 giugno si riuniscono al richiamo del rosso al Diego Valleferro Rifugio Passo Giau, dove è esposta la mostra fotografica “80 anni di storia del Gruppo Scoiattoli”. La giornata sarà animata da musica dal vivo con canzoni originali scritte da uno dei fondatori, il Bortolin, che suonava sempre in rifugio al termine delle arrampicate. Le stampe raccontano e illustrano un emozionante viaggio soprattutto attraverso l’evoluzione dei materiali e degli stili di arrampicata che hanno affrontato gli Scoiattoli durante questi ottant’anni.
Questo passaggio del testimone al nuovo approccio viene rappresentato dall’incontro tra uno degli storici Scoiattoli, Lorenzo Lorenzi, e uno dei giovani Manuel Soccol. Quest’ultimo la scorsa estate ha chiesto il permesso a Lorenzi di poter sostituire le soste sullo Spigolo Scoiattoli sulla Cima Ovest del Lavaredo, aperta da lui e Albino Michielli, Gualtiero Ghedina e Lino Lacedelli nel 1959.
illustrazione di Andrea Dalla Barba
Per far parte di questa grande famiglia ci sono solo due condizioni: essere nati e risiedere a Cortina d’Ampezzo. Con il passare del tempo, però, solo la seconda è diventata inderogabile. La prima donna a far parte degli Scoiattoli è stata Emma Franceschi Gheba, nel 1941. Negli anni Settanta è entrata Iaia Walpoth, nel 1979 Nadia Dimai.
Quando l’alpinista compie il viaggio della memoria e parla delle sue imprese, fa emergere tutte le emozioni vissute sul proprio volto: è uno sguardo diverso dal solito, si percepisce in lui l’energia profonda del ricordo, però quasi mai nostalgico. Si inizia a ricordare la prima ascensione, la variante molto esposta della via Comici-Dimai fatta da Carletto Alverà ed Ettore Costantini nel ’41. E nel ’44 il pilastro Costantini-Appollonio sulla Tofana di Rozes. Sono gli anni, (il decennio che va dal 1939-al 1949) che vedono protagonisti Ettore Costantini, Romano Appollonio, Carletto Alverà e Luigi Ghedini, il Bibi. Non avevano imbrago, per salire usavano la corda legata intorno alla vita e per calarsi usavano, invece, l’attrito della corda intorno al corpo.
Il decennio successivo (1949-1959) vede Lino Lacedelli, Guido Lorenzi e Luigi Ghedina compiere l’impresa di conquistare la Cima Scotoni, una via che ha richiesto molta tenacia.
L’impresa che segna gli Scoiattoli è però quella del 1954: Lino Lacedelli e Achille Compagnoni salgono in cima al K2, sono i primi a conquistare questo traguardo. Per sua ammissione, Lacedelli vuole proprio essere ricordato per la conquista del K2, l’ascesa della montagna che aveva più incognite in assoluto: nessuno sapeva se fosse effettivamente arrampicabile e se una persona potesse sopravvivere a quelle altezze. A cinquant’anni dalla conquista, nell’estate del 2004, sei Scoiattoli sono tornati in cima al K2: con loro è tornato, al campo base, anche Lino Lacedelli.
Il 1963 vede la comparsa sulla scena ampezzana di Ivano Dibona, accanito sostenitore della tecnica artificiale. Protagonista di numerose salite sfidanti, muore a 25 anni con un cliente sulla cima grande del Lavaredo. Un’altra apertura importante nel 1963, dal 17 al 22 giugno sul Pilastro della Tofana di Rozes, è quella della via Paolo VI. All’impresa parteciparono gli Scoiattoli Lorenzo Lorenzi, Bruno Menardi, Strobel, Carlo Gandini e Arturo Zardini.
Non solo arrampicate sulle montagne di casa, ci sono state anche molte spedizioni extraeuropee. Lo Scoiattolo che ne vanta di più è Lorenzo Lorenzi. A organizzare la maggior parte di queste spedizioni è stato Marino Tremonti: in Yukon, tra le cime dell’Himalaya alla conquista del Parvati Peak (6.633 metri), il Fraile Grande in Ecuador, il Pan di Zucchero in Brasile e il Ruwenzori in Africa. L’unica spedizione dolorosa è stata quella del 1976 sullo Huascaran nelle Ande Peruviane: durante la salita a causa di una valanga muoiono Carlo Demenego e Raniero Valleferro. Dopo la loro tragica morte nessuno volle continuare verso la cima perché avrebbe significato passare sopra di loro: anche se non si vedevano più i corpi dei compagni, gli altri raccontano che se ne sentiva ancora forte la presenza. Ma è proprio il senso di impotenza che negli anni gli Scoiattoli hanno imparato a conoscere, essendo tra gli alpinisti più attivi nei soccorsi. Sono stati moltissimi negli anni i loro interventi sulle Tre Cime di Lavaredo. Tutti volevano ripetere le vie aperte più difficili senza essere particolarmente preparati per la sfida. A quel tempo non esistevano relazioni, né segni chiari per capire dove andare, soprattutto per le calate. Lorenzo Lorenzi, che è stato anche il Presidente della squadra di soccorso, nel 1962, racconta al Foglio Sportivo che “c’era più soccorso una volta, ora le persone sono più preparate”. Portare soccorso non pagava, il materiale che usavano era tutto pagato di tasca propria, non c’era nessuna copertura assicurativa. All’inizio, proprio al primo soccorso organizzato da Ugo Pompanin, si sono raggiunte le Tre Cime del Lavaredo grazie alla jeep di un privato. Gli Scoiattoli dei primi anni di fondazione usavano come mezzi di trasporto la bicicletta, non c’erano ancora macchine e moto. Si saliva la montagna dalla parte più facile e poi ci si calava dove si trovava il ferito. Una volta raggiunto lo si calava se si poteva alla base oppure lo si caricava in spalla fino in cima per poi calarlo dalla parte idonea. Solo nei primi anni Settanta si incomincia a usare l’elicottero, e grazie all’impegno di Lorenzi si ottengono le prime coperture assicurative e le prime donazioni di benefattori.
Proprio dal lato dei soccorsi si vede il grande cuore che hanno gli Scoiattoli e, aggiunge Lorenzi, di tutti montanari. Ugo Pompanin racconta di come molte volte abbia ospitato le persone soccorse, fornendo loro anche cibo e vestiario necessario, andando di là dal proprio dovere di riportare a valle quelli che non ce l’hanno fatta.
Non si tiravano mai indietro, e il loro amore verso le montagne si è visto nel loro impegno a costruire i rifugi e non solo. Prima di costruire il Rifugio Lagazuoi, Pompanin ha fondato una società per raccogliere fondi, 168 milioni, e costruire la funivia che oggi porta al rifugio, a 2.733 metri di altezza. Lorenzo Lorenzi ha fatto la stessa cosa con gli impianti di risalita per costruire il Rifugio Scoiattoli vicino alle 5 Torri, palestra di roccia di eccellenza degli Scoiattoli. Il Rifugio Pomedes è stato costruito nel 1955 dal Bibi, Luigi Ghedina, insieme alla moglie Lucilla Gilmozzi. E infine il Rifugio Lorenzi sul Cristallo pensato da Beniamino Franceschi.
In ogni campo il cambiamento è sempre qualcosa che fa discutere, l’alpinismo non è da meno: ci sono state discussioni e polemiche sin dall’introduzione dell’arrampicata su staffa, usata per superare punti altrimenti insuperabili, come i tetti strapiombanti, fino all’invenzione dei chiodi a pressione. Così si passa all’arrampicata libera, usando la corda solo come sicurezza per conquistare la cima, e all’arrampicata sportiva che negli anni Settanta e Ottanta vede protagonisti Bruno Menardi, Massimo Da Pozzo e Luca Zardini, detto il Canon. Grazie anche alla rivoluzione dei materiali, le corde elastiche, le scarpette con la suola più aderente alla parete, c’è la possibilità di appoggiare i piedi su appigli sempre più piccoli, cosa impensabile con gli scarponi. Anche il modo di battezzare le vie cambia, dai nomi dei primi salitori, si passa a nomi più “creativi”. Incominciano a emergere nuove discipline dell’alpinismo, nasce l’arrampicata su brevi strutture rocciose dove la ricerca del passaggio con mosse particolari la fa da padrone, (cosa che permette agli alpinisti di allenarsi alle grandi difficoltà senza alcun rischio). Iniziano gare e competizioni grazie all’arrivo delle palestre di plastica, un’evoluzione che porta ora l’arrampicata tra le discipline delle Olimpiadi. La gara consiste nell’arrampicare più in fretta possibile una parete con delle prese.
Lo Scoiattolo per eccellenza che si è formato proprio sui monotiri (vie d’arrampicata costituite da brevi salite e immediate discese) e sui grandi massi con la pratica del boulder è Luca Zardini, conosciuto da tutti come il Canon. Nel 2009 libera “Welcome to the Club” un monotiro a Volpera, a oggi il tiro più difficile nelle falesie ampezzane. Dal 1991 al 2008 ha vestito anche i colori della Nazionale italiana di Arrampicata Sportiva. Ha iniziato ad arrampicare con Bruno Menardi che lo ha portato a Erto, il centro dell’arrampicata sportiva di quegli anni.
Oggi, invece, il punto di ritrovo è diventata la palestra d’arrampicata a Cortina che porta il nome Lino Lacedelli e che quest’anno, il 2 giugno, ha celebrato il primo anno di attività. Il Canon racconta al Foglio Sportivo: “Alla base del gruppo degli Scoiattoli c’è sempre stata l’amicizia, ma con gli anni e sempre più membri che ne fanno parte è difficile tenere il gruppo unito. La palestra è diventata un’ottima opportunità e punto d’incontro anche per allenare lo spirito dell’arrampicata”.
Nel film “ROSSO70”, realizzato per il 70° anniversario degli Scoiattoli, Bortolin dice: “Oggi si ha tutto, la tv, i telefoni… ma noi non avevamo niente, però avevamo tutto, avevamo un cuore pulsante”. Quel cuore si vede su quel maglione rosso con lo scoiattolo bianco disegnato sul braccio sinistro, segno di un legame impossibile da spezzare e del senso della cordata.
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