Salvare il calcio africano dai truffatori di talenti

Francesco Caremani

"Lavoriamo per mettere fine alla tratta dei bambini e dei ragazzi attraverso lo sport", dice Lerina Bright, fondatrice e direttore esecutivo della Ong Mission 89

È una delle tratte di essere umani, per alcuni la nuova schiavitù. Bambini e ragazzi africani attirati con false promesse di andare a giocare a calcio in Europa, a basket negli Stati Uniti che si ritrovano a essere costretti a pagare finti procuratori che hanno gioco facile nei villaggi e con le famiglie meno istruite. Il nigeriano Matthew Edafe è uno di questi. Sua madre voleva che studiasse ma davanti alla promessa di guadagnare fino a 20.000 dollari al mese, ne ha pagati più di 2.000 al falso agente, indebitandosi. Insieme con altri ragazzi Matthew è partito per il Senegal, poi Capo Verde dov’è stato abbandonato ed è riuscito a tornare a casa grazie a un lavoro in un cantiere navale. Oggi, a Lagos, sta cercando di aiutare gli altri a non cadere nello stesso tranello.

 

“Se un ragazzo è scoperto da un club o da un vero agente non c’è mai una richiesta di denaro” dice al Foglio Lerina Bright, radici in Sierra Leone, nata a New York l’1 maggio 1981, fondatrice e direttore esecutivo della Ong Mission 89, con sede a Ginevra. “Lavoriamo per mettere fine alla tratta dei bambini e dei ragazzi attraverso lo sport, spesso tra gli 11 e i 24 anni, ma anche meno, con l’educazione, la ricerca e il sostegno”, sottolinea Lerina che ha lanciato la campagna #NOTINOURGAME per sensibilizzare istituzioni sportive e politiche sul problema. La Fifa dal 2020 obbligherà gli agenti ad avere una licenza riconosciuta a livello internazionale: “La maggior parte dei giovani calciatori truffati spesso non varca nemmeno il confine. Per gli altri si può attivare l’International Organization on Migration, ma molti non vogliono tornare a casa, chi per la vergogna, chi perché crede che le cose andranno meglio, ma una volta scaduto il permesso di soggiorno diventano migranti illegali”.

 



 

Mission 89 prende il nome dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’infanzia, approvata il 20 novembre 1989. Qualche mese prima l’esplosione di questo fenomeno che per molti coincide con il raggiungimento dei quarti di finale da parte del Camerun al Mondiale italiano del 1990, scoprendo una fonte inesauribile di talento sportivo, calcistico per lo più, in un mercato non regolamentato: “Siamo riusciti a sollevare la questione sia in seno all’Unione Europea che a quella Africana, coinvolgendo l’IOM e l’Interpol, ma pochi hanno una reale consapevolezza del fenomeno” che essendo illegale non ha numeri certi. Secondo un’inchiesta del quotidiano britannico Daily Mirror sarebbero circa 15.000 i giovani africani che ogni anno sono ingannati con la promessa di giocare in Europa, molti dei quali finiscono in Croazia, Polonia, Romania o Serbia dove è più facile ottenere un permesso di soggiorno per lavoro. Ma arrivano pure negli Stati Uniti, in Cambogia, Indonesia, Vietnam e ultimamente anche negli stati del Golfo.

 

“Generazioni di giovani africani passano anni a cercare di tornare a una vita rispettabile, a ricostruire quei risparmi sperperati, un peso che schiaccia loro e le famiglie – ricorda Lerina Bright, che prima di tutto vorrebbe che l’Uefa e i club europei, semplicemente, riconoscessero il fenomeno –. Il traffico esiste ma si guarda da un’altra parte perché coinvolge troppe parti, sia dentro che fuori lo sport”. Nemmeno i calciatori africani famosi sembrano sensibili all’argomento, solamente Didier Drogba e Vincent Kompany, in tempi diversi, ne hanno parlato, troppo poco. Intanto Mission 89, tra le altre cose, sta lavorando a un’App per dispositivi mobili che possa fornire informazioni sui percorsi legali dello sport professionistico, segnalare approcci discutibili e verificare la legittimità di agenti e scout.

 

Gli obiettivi politici invece sono: “Introdurre lo sport nella legislazione internazionale della tratta di essere umani, modificare i regolamenti sportivi e cambiare la consapevolezza del fenomeno nelle istituzioni sportive e politiche”, afferma Lerina Bright. Mentre in Egitto si celebra la trentaduesima edizione della Coppa delle Nazioni Africane e i club europei, dopo l’Africa, aprono accademie in India e Cina.

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