La nuova vita di Alberto Gilardino
Luglio non è mai stato un mese banale per l'ex attaccante della Nazionale. Da mercoledì 10 è cominciata la prima esperienza di Gilardino come allenatore professionista alla Pro Vercelli
Luglio non è mai stato un mese banale per Alberto Gilardino. A cominciare dal giorno della nascita, il 5 luglio 1982. Per i più anziani è il torrido pomeriggio in cui l'Italia batte 3-2 il Brasile in quella che passa alla storia come una delle gare più incredibili della storia azzurra, un'avventura poi conclusasi con il trionfo al Mundial spagnolo. Chi l'ha vissuta in diretta, si ricorda bene che cosa provò ai tre gol di Paolo Rossi al Sarrià di Barcellona. Ai più giovani restano Youtube e “La partita”, le 607 pagine che Piero Trellini ha dedicato a quel match. Da leggere assolutamente. Papà e mamma Gilardino a tutto pensavano quel giorno, tranne che ventiquattro anni dopo sarebbe toccato a loro figlio alzare la Coppa del Mondo, il 9 luglio 2006. Quella che è, allo stato attuale, l'ultima soddisfazione azzurra al torneo.
A luglio, mercoledì 10, è cominciata la prima esperienza di Gilardino come allenatore professionista. Parte dalla Pro Vercelli, ed è divertente vedere un biellese alla guida della squadra. Uno che arriva da quella che - ancora pochi anni fa - era provincia, guardata con un immancabile senso di superiorità. Ma da queste parti il campanilismo non è così spinto come altrove. E il talento di Gilardino era stato riconosciuto con il premio Piola, uno che tra Vercelli e Novara aveva insegnato come si va in gol. Era il 2004 e la carriera del centravanti era stata già consacrata dal Parma, dopo essere passata da Piacenza e Verona. Le stesse tappe di un altro collega illustre, quel Filippo Inzaghi diventato compagno nel 2005, anno del passaggio di Gilardino al Milan. In teoria ci sarebbe dovuto essere un passaggio di consegne tra i due, separati da nove anni di differenza, la realtà si era invece rivelata ben diversa. Perché Inzaghi è uno che non molla di un centimetro, uno che non concede spazi. Gilardino riesce ad averne a disposizione, ma patendo la concorrenza. Arrivano ancora i gol, nella prima stagione si viaggia alla media di uno ogni due partite, ma nel cuore dei tifosi c'è Pippo. E anche di Carlo Ancelotti, che nella finale 2007 di Champions, contro il Liverpool, viene premiato dalla doppietta di Inzaghi, mentre Gilardino si alza per entrare a due minuti dalla fine.
È la botta definitiva all'autostima in rossonero, il centravanti nel 2008 si congeda come promessa mancata dal Milan. Riparte da Firenze, dove per un paio di stagioni ritrova la brillantezza dei tempi di Parma sotto la guida di Cesare Prandelli. Fa ancora il suo dovere al Bologna e al Genoa, poi un'avventura improbabile in Cina e tanta provincia, fino alla decisione di chiudere un anno fa, dopo aver indossato la maglia dello Spezia. Tra tanti reduci del Mondiale 2006, forse era il più inatteso su panchina. Mai una parola fuori posto, mai un titolo da regalare ai giornalisti: uno che finiva per passare inosservato. Non lo si vedeva tagliato per questo mestiere fatto anche di voci alzate. Sugli atteggiamenti si può però giurare, sono sempre quelli giusti. Valga per tutti l'assist offerto a Del Piero nella semifinale 2006 contro la Germania, un passaggio per il 2-0 ben più importante di un gol. Così Gilardino ha cominciato dal basso, dalla serie D a Rezzato, in provincia di Brescia. Qui lo aveva chiamato come assistente Luca Prina, suo tecnico quando stava crescendo nei Giovanissimi della Biellese oltre vent'anni fa. Poi, a febbraio, si sono invertiti i ruoli e l'ex centravanti ha mostrato idee interessanti. Quelle che hanno convinto la Pro Vercelli, dove si respira una storia fatta di sette scudetti ma dove si vuole ripartire dai giovani, dopo aver cercato invano di tornare in serie B. Sarà una stagione di transizione, abitualmente le più complicate da gestire. Se si riesce a sopravvivere, si è però tecnici veri.