Nick Kyrgios, il Truce del tennis che rischia sempre di finire fuori campo
McEnroe era élite meravigliosamente stronza, lui è tormentato
Non lo sopporta nessuno il Truce. I colleghi si stanno coalizzando contro di lui per metterlo in un angolo. No, ma che andate a pensare, non è politica italiana, è tennis internazionale. Questa è la storia di Nicholas “Nick” Hilmy Kyrgios, 24 anni, tennista australiano di buona famiglia, figlio di immigrati, padre Giorgos greco, pittore, e mamma Norlaila malese, principessa per nascita e ingegnere di successo. Il Truce del tennis, soprannominato “Kygs”, ne ha combinate tante, l’ultima a Cincinnati, a Ferragosto. In sintesi: racchette spaccate, bottiglie gettate a terra, lancio di scarpe, insulti e sputi all’arbitro. Le racchette è andato anche a distruggerle in bagno, dopo aver chiesto la pausa per motivi fisiologici. Ha perso il match con il russo Karen Khachanov e ha ricevuto una multa di 113 mila dollari. Ora rischia una sospensione.
Non è la prima e siccome non sarà l’ultima volta che si comporta così, di sanzioni ne arriveranno altre. In campo ha urlato ogni insulto disponibile e lanciato ogni tipo di oggetto, anche una seggiola agli Internazionali d’Italia a Roma a maggio. Si è scontrato con tutti. Ha definito Rafa Nadal “bipolare”, ha disegnato una “x” con il pennarello sulla maglia di un tifoso che portava il nome di Djokovic, “Novak”, di cui ripete: “Non lo sopporto, vuole piacere a tutti”. Allo svizzero Wavrinka, durante uno scambio ha sibilato: “Kokkinakis è andato a letto (non proprio così, ndr) con la tua fidanzata, mi dispiace dovertelo dire”. Nel 2016 a Shanghai perde apposta e se ne accorgono tutti. “Ero stanco”. Un anno dopo, stesso torneo, non riesce neanche a fingere e se ne va dopo il primo set, senza spiegazioni. Il pubblico però, sovente si fa sedurre dal trucismo. Nel tennis, da sempre, convivono “gesti bianchi” e sprazzi di follia.
Kyrgios è puro istinto. Una specie di capitano di se stesso che ascolta solo la sua voce interiore. Non ha mai avuto un allenatore fisso ed è l’unico tennista tra i primi cento del ranking mondiale senza un coach. Per consigli e tattiche, si rivolge direttamente al pubblico, flirta con il popolo, come a Washington, dove ha vinto il torneo, sesto titolo in carriera, due settimane fa, trasformando il campo centrale in una specie di Papeete Beach. Ha riproposto uno dei suoi show preferiti, una specie di “lo volete voi?” caro a tutti i guitti, in ogni tempo, in ogni situazione. E’ andato da uno spettatore, sul match point: “Dove gli servo?”. Dopo aver vinto, c’è stato lo scambio del “cinque”.
Il paragone va subito a John McEnroe, ma Kyrgios è Truce, mentre Mac era “Super Brat”, il grande marmocchio, Gianburrasca degli anni d’oro. Mac, a un certo punto, ha cominciato a recitare (non per niente sposò un’attrice, Tatum O’Neal), diventando personaggio. Come quando infilò la testa nel “ciclope”, antenato dell’occhio di falco, la Var del tennis, sistemato a Wimbledon sulla linea del servizio. Non avendo un giudice da insultare se la prese con la macchina. Mac era meravigliosamente stronzo, Kyrgios è tormentato. Lo ha spiegato al Players Voice che raccoglie le testimonianze degli sportivi australiani: “Non sono il professionista che il tennis mi chiede di essere. Non sto facendo i progressi che dovrei perché non lo desidero abbastanza. In me combattono l’agonista che vuole vincere e l’essere umano che anela a una vita normale, famiglia, figli, riservatezza”. Una rivelazione alla “Open” di Andre Agassi, ma a carriera in corso, un rifiuto del tennis che spiega i suoi alti e bassi, l’equilibrio fragile, spezzato spesso a favore della seconda, tra genio e sregolatezza. Tutto foraggiato dal dolore per la scomparsa di nonna Julianah, la donna che lo ha cresciuto, una signora hippy che appiccicava gli adesivi dei fiori sulla fiancata dell’auto (con cui andò a sbattere) e fumava come una ciminiera nella Londra della rivoluzione industriale. L’unica per cui il Truce era solo Nick.