È Ventura l'innesco della rabbia di Cerci
L'attaccante di Valmontone riparte dalla Salernitana per riabbracciare l'unico allenatore che è riuscito a farlo giocare ad altissimi livelli
I paragoni sono stati spesso la pietra tombale per i calciatori italiani. Infallibile, da questo punto di vista, era Nils Liedholm, ricordato al Milan per le sue vittorie da calciatore e da allenatore. E anche per i tanti appellativi inventati e rivelatisi totalmente privi di reale fondamento. Arriva Ugo Tosetto dal Monza? Ecco il Kevin Keegan della Brianza, per un totale di 22 presenze e zero gol nel 1977-78. Roberto Mandressi gli ricordava il Rob Rensenbrink giovane, in rossonero 9 partite e, ovviamente, nessuna rete. Roberto Antonelli era addirittura un potenziale Johan Cruijff. Gli andò un po' meglio rispetto agli altri due, ma tutt'altra cosa – in meno – rispetto al meraviglioso olandese.
Ad Alessio Cerci era bastato un movimento con finta e tiro per diventare l'Arjen Robben di Valmontone, in omaggio ai suoi luoghi di origine. Così era stato battezzato al primo apparire nella Roma di Fabio Capello, in un esordio datato 16 maggio 2004, a 17 anni ancora da compiere. In molti credevano in quell'esterno atipico per il calcio italiano, capace di crossare come di andare a rete. I fatti successivi non hanno dato ragione al giudizio, vuoi per i problemi fisici che lo hanno frenato al momento di spiccare il volo, vuoi per un carattere difficile da gestire, vuoi per familiari altrettanto difficile da gestire. Passa alla storia del calcio il post della moglie Federica, all'atto del passaggio dal Torino all'Atletico Madrid nell'estate 2014, per 15 milioni: “Addio serie A, noi andiamo nel calcio che conta”. Quel calcio che conta lo rispedisce da noi dopo pochi mesi, fatti di sei partite senza mai cominciare da titolare, per un prestito al Milan.
Il 2013-14 era stata la migliore annata di Cerci. La gioca in un ruolo insolito, da seconda punta al fianco di Ciro Immobile: lui segna 13 gol, il centravanti ne mette a segno 22. Insieme portano il Torino a un settimo posto che apre le porte dell'Europa League, dopo che la coppa viene negata al Parma per una licenza Uefa mancante. Insieme vanno all'estero: se Cerci si trasferisce all'Atletico, Immobile va al Borussia Dortmund per quasi 20 milioni e per la gioia dei conti di Urbano Cairo. Insieme fanno parte della Nazionale di Cesare Prandelli, nella poco felice esperienza al Mondiale brasiliano. In granata l'allenatore è Gian Piero Ventura, già fondamentale per Cerci qualche anno prima, quando lo prende in prestito al Pisa neopromosso in serie B. L'esterno ha vent'anni, in Toscana si mette in mostra per la tecnica unita alle qualità fisiche su entrambe le fasce. Con 10 reti contribuisce a un piazzamento in zona playoff, ma non può essere più utile perché fermato da un serio infortunio al ginocchio.
E Ventura, come abbiamo visto, è poi decisivo per Cerci a Torino. Il tecnico sa come prenderlo umanamente, sa come sfruttarlo sul campo come nessuno mai: né prima, né dopo. Perché, dopo le stagioni in granata, il declino appare costante, ai rari squilli corrispondono tanti passaggi a vuoto. In campo sì, ma senza essere protagonista come ci si attenderebbe da uno così. Fino all'esperienza controversa nell'ultima stagione all'Ankaragucu, conclusasi con una causa per non aver ricevuto gli stipendi. Ora la Salernitana, di nuovo in serie B e di nuovo con Ventura, con un contratto biennale: “Viene qui per me, può scatenare la rabbia che ha dentro”, sottilinea il tecnico. Le scommesse da vincere sono tante, per entrambi. Potrebbero rivelarsi la benzina giusta.
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