foto LaPresse

Juve, hai paura di Antonio Conte?

Roberto Perrone

I bianconeri sono ancora i più forti, ma per la prima volta in otto anni guardano il “nemico” e vedono la propria nemesi

Antonio Conte rientra perfettamente nella definizione di “nemesi” della Treccani: “Personificazione nella mitologia greca e latina della giustizia distributiva, e perciò punitrice di quanto, eccedendo la giusta misura, turba l’ordine dell’universo”. Il punto è proprio quest’ultimo. A cinque anni dall’abbandono, improvviso ma non inaspettato, del centro sportivo della Juventus a Vinovo, nel luglio 2014, due giorni dopo l’inizio del raduno estivo bianconero, Conte rischia di turbare l’ordine dell’universo bianconero. L’ordine costituito in questi anni dalla Juventus, otto scudetti consecutivi, un dominio assoluto.

 

Per la prima volta, la Juventus ha paura ed è la paura atavica di chi guarda verso il fronte nemico e vede il proprio doppio. Lo stesso volto, le stesse caratteristiche, lo stesso approccio al calcio, un misto di spietatezza e professionismo estremo. La Juventus non si era mai trovata, sicuramente non da otto anni a questa parte, a dover affrontare un avversario così juventinizzato. Per questo quest’anno ha paura, non tanto perché, per la legge delle probabilità, prima o poi dovrà mollare lo scudetto – succede con i numeri al lotto, con i record, con le maree, con la vita in genere – ma perché teme di cederlo proprio a quei due, ad Antonio Conte e Beppe Marotta, a due uomini che a Torino conoscono bene, a due degli uomini che hanno contribuito al risorgimento bianconero e ora sono al comando di un’Inter a trazione juventina, cioè il peggior nemico immaginabile.

 


Antonio Conte e Beppe Marotta ai tempi della Juventus (foto LaPresse)


  

Paradossalmente, per il popolo bianconero, dai massimi dirigenti ai tifosi, sarebbe di maggior conforto, in caso di sconfitta, che fosse il Napoli a conquistare lo scudetto. Non questa Inter, non l’odiata (meno di un tempo, dopo otto titoli e altri trofei sparsi il risentimento, inevitabilmente, scema) nemica di sempre, ma un club ad alta presenza di ex. Oltre ai due sunnominati, al comando in viale della Liberazione e alla Pinetina di Appiano Gentile (ora centro Suning), ci sono Antonio Pintus e Julio Tous Fayardo, preparatori, Cristian Stellini, vice dell’allenatore, molto apprezzato, che si sacrificò ai tempi della storia della combine del Siena che portò alla squalifica di Conte, il biologo nutrizionista Matteo Pincella. Tutti, in diverse epoche e con differenti tempi di percorrenza, hanno lavorato a Torino.

 

Sono gli uomini certo, ma è anche il modus operandi a parlare bianconero. Conte ha portato all’Inter il suo stile, quello che ha applicato alla rinascita bianconera, alla Nazionale, al Chelsea, ottenendo sempre risultati. Un misto di psicanalisi ricostruttiva e abnegazione senza cedimenti.

 

Ha messo alla porta gli indesiderabili, ha dettato la dieta Lukaku e chiunque ne avesse bisogno, ha spazzato via quel clima da brigata di buontemponi, che Antonio odia ancora di più dei fancazzisti, perché non li ha mai frequentati, ha fissato orari e messo paletti, ha sostituito l’io con il noi. C’è un nuovo sceriffo ad Appiano Gentile proprio mentre, a Torino, Maurizio Sarri, indebolito dalla malattia, è in ritardo nell’introduzione del “sarrismo”. Certo, la Juventus è ancora la più forte, la più completa, la più abituata a vincere. E vincere, come è noto, aiuta a vincere. Conte lo sa benissimo e sta lavorando su questo, proprio come ha fatto a Torino, quando arrivò, neanche prima scelta, nel 2011. E anche allora, all’inizio della sua avventura bianconera da tecnico, proprio come l’Inter ora, Madama non era certo la squadra più forte in serie A. Milan, Inter, Napoli e Roma erano più attrezzate, più complete. Eppure, anche se risultò fallimentare uno degli acquisti più importanti del mercato estivo, l’olandese Elia, la Juventus di Conte, che puntava alla Champions, dopo due settimi posti (il secondo costato l’uscita dall’Europa), mise in fila tutte le più accreditate rivali.

 

L’ex Antonio Conte è l’acquisto che preoccupa di più la Juventus che vorrebbe Icardi, ma senza dare agli avversari Dybala, perché non vuole altri ex nel campo avverso. Perfino il tentativo di arrivare a Lukaku, più che per una reale necessità tattica, è apparso un modo per ostacolare l’Inter. Perché Conte lavora alla juventina, lavora come loro. Anzi, addirittura, ha portato un altro pezzo importante della più pura ideologia bianconera che a Torino, negli ultimi anni, ha perso valore. La presenza di un forte blocco italiano. Una caratteristica che è sempre stata un caposaldo dello juventinismo: la presenza di giocatori italiani di prima fascia che custodissero l’ortodossia. Per questo è stato richiamato Gigi Buffon, per mantenere e difendere il senso di appartenenza.

   

E proprio l’italianizzazione della squadra, Conte l’ha portata all’Inter. Con il terzino della Fiorentina Biraghi, che si sta trattando in queste ore, salirebbero a 12 gli italiani in rosa. Una vera rivoluzione non solo calcistica ma anche di costume, il punto più lontano dalla vecchia filosofia “internazionale”. Nella formazione più probabile solo Sensi, Barella e Biraghi (se arriverà) potrebbero avere spazio in partenza, ma Conte, altro suo modo di interpretare il calcio, ha sempre dato spazio a tutti, alternando, cambiando. E poi, con lo zoccolo italiano, nello spogliatoio, sarebbe più facile portare gli stranieri verso quell’unità di intenti da sempre uno degli obbiettivi del tecnico salentino.

 

E quindi, di fronte a questo avversario così simile, Madama avverte un brivido di timore. Non lo ammetterà mai, neanche sotto tortura, figuriamoci. Ma ci pensa, oh, se ci pensa.

Di più su questi argomenti: