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La linea retta di Frank Lampard

Emanuele Corazzi

Chiaro, efficace e pragmatico l'allenatore del Chelsea lo era da calciatore. Ha portato il suo credo anche in panchina

Mi si è acceso il desiderio di scrivere di Frank Lampard nel momento del suo bacio sulla testa a Tammy Abraham, dopo il gol al Norwich. Quel bacio è il compimento di un intuito. È il primo gol di Abraham, 21 anni, con la maglia del Chelsea, la squadra con cui è cresciuto. Lampard l’ha scelto come titolare in stagione davanti al campione del mondo Giroud e a Batshuay, l’ha visto fallire il quinto e decisivo rigore in finale di Supercoppa Europea a Istanbul, l’ha difeso dagli insulti razzisti dei suoi stessi tifosi, l’ha rimesso comunque titolare. Lui sapeva quel che gli altri non potevano sapere, perché solo lui lo vede tutti i giorni.

 

 

Gli intuiti son fatti così: richiedono forza, coraggio e pazienza, ma non devono farsi frenare dai timori. E così, dopo quattro gare ufficiali, sabato scorso è arrivata la prima vittoria di Frank Lampard da manager del Chelsea. 3-2 a Norwich, sofferta, firmata da due giovincelli che prima di lui non avevano mai segnato in Premier League: oltre ad Abraham, Mason Mount (anche lui aveva calciato, segnandolo, un rigore a Istanbul due settimane prima). La Sua vittoria.

 

Del resto, Lampard da calciatore era una linea retta: partiva da dietro, si inseriva, faceva gol. Immaginatela disegnata sul campo quella retta. Lui è quella linea retta: chiaro, efficace, pragmatico. E così è il suo primo Chelsea da allenatore. Uno è leader nel modo in cui è come persona.

 

Viene in mente una frase di Zorro Boban: “I fuoriclasse non diventano grandi allenatori, sono sazi, non hanno quella fame.”. E Lampard non è nato con il talento dei grandi fuoriclasse. La sua intelligenza, la sua dedizione, il suo cuore lo hanno reso un campione. Da bambino era Fat Frank, il bambino che tendeva a ingrassare per problemi di respirazione. E alla quale una maestra disse: “Il calcio ti rovinerà la vita”. A quella maestra, Lampard ha spedito un biglietto per il suo esordio con il Chelsea a Stamford Bridge. Fat Frank, ad ogni modo, non era il primo della classe nemmeno nell’Accademy West Ham. Tra Joe Cole, Rio Ferdinand e Michael Carrick non era certo il più forte. Un’altra fame lo ha reso ingordo: quella di evolvere.

Ranieri lo ha disciplinato e aiutato a costruirsi come uomo gol. Mourinho l’ha definito il giocatore più intelligente che ha mai allenato. Finita la carriera trionfale da calciatore, ha iniziato a lavorare in TV e rifiutato un lavoro dal Chelsea: quello da ambasciatore. Necessitava di più significato per le sue giornate. Si è preso del tempo. Poi, su consiglio dello zio Harry Redknapp, ha accettato la panchina del Derby County nella seconda serie inglese. Ha familiarizzato con l’iperbole emotiva dell’allenatore: la vittoria la senti più tua, la sconfitta ti rende solo. “I dieci minuti finali di una partita in cui perdi 2-0 sono di una solitudine clamorosa. Sei lì con gli incubi che ti aspetteranno”, ha raccontato.

Ha superato con eleganza la spy story di Bielsa, eliminato il maestro Mourinho dalla Coppa e portato la squadra – oltre i pronostici – in finale playoff (battendo in semifinale proprio il Leeds di Bielsa). Fat Frank, ingordo di evoluzioni. In estate il corteggiamento del Chelsea. Cosa faccio? Ci vado o è troppo presto? Da giocatore ha segnato i due gol al Bolton per firmare un titolo che mancava da 50 anni, alzato da capitano la prima Champions della storia (John Terry era squalificato), vinto 13 trofei, segnato 211 gol. Rischio o non rischio? Una scelta che può apparire banale solo se si ha una visione semplicistica. Rischia di condizionare negativamente la sua fresca carriera di allenatore e di mitigare con un presente negativo un passato che è un bonifico emotivo per la vita. Di più. Il Chelsea non può far uscire soldi dalla banca: ha il mercato bloccato per punizione per due sessioni. Ha ceduto Hazard e David Luiz. Lampard deve essersi ascoltato e poi ha detto sì. E dal primo giorno ha portato le sue idee chiare: pressione alta, partenze di partita a tremila all’ora, circolazione veloce di palla e fiducia nei giovani verso i quali la sua sensibilità ha forti vibrazioni. Ci saranno momenti duri. E lì serviranno la sua intelligenza e la sua forza per non far crollare l’autostima a un club che ha l’abitudine alla vittoria (18 trofei negli ultimi 15 anni), ma al momento ha una rosa inferiore alle top 4 in Inghilterra. Lui, linea retta, proverà a disegnare un cerchio. E’ la differenza geometrica tra un singolo e un leader.

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